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Neuroriabilitazione, la famiglia come parte integrante del trattamento

Nel percorso di recupero dei pazienti, i genitori hanno un ruolo fondamentale all'interno del team riabilitativo. L'intervista al dottor Enrico Castelli

Gestire un bambino che ha bisogno di affrontare un percorso di neuroriabilitazione non è semplice. Serve un team di esperti in grado di valutare adeguatamente la situazione clinica e di scegliere le giuste misure da adottare. Serve anche il supporto di tutto il nucleo familiare del bambino. La collaborazione della famiglia, infatti, è fondamentale. Senza questo elemento il progetto di riabilitazione elaborato dagli specialisti rischia di essere meno efficace. Di questo aspetto abbiamo parlato con il dottor Enrico Castelli, responsabile dell'Unità di Neuroriabilitazione e U.D.G.E.E. (Unità per la Degenza delle Gravi disabilità in Età Evolutiva) dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.

Dottor Castelli, chi sono i pazienti che fanno riferimento al nostro ospedale per sottoporsi a trattamenti di Neuroriabilitazione? 

I pazienti di cui ci occupiamo sono bambini con un danno neurologico, che hanno avuto una lesione cerebrale, spinale, dei nervi periferici, una patologia dei muscoli. Oppure bambini con una malattia di tipo metabolico o genetico, con un coinvolgimento del sistema nervoso che determina una disabilità complessa e articolata. Nei 50 letti fra Palidoro e Santa Marinella noi ricoveriamo circa 700 bambini all'anno. Di questi circa 230 arriva dai reparti di Terapia Intensiva (la metà da quelli del nostro ospedale). I post acuti sono i pazienti che si fermano di più, possono restare anche alcuni mesi. Poi abbiamo una seconda tipologia di bambini che ricoveriamo, quelli che devono fare una valutazione finalizzata a preparare un progetto e un programma riabilitativo, oppure un follow up per la verifica del progetto riabilitativo. Il ricovero di questi pazienti può dura circa 10 giorni, fino a un massimo di due settimane. Infine abbiamo i cosiddetti trattamenti riabilitativi intensivi: bambini che abbiamo valutato in precedenza, che non hanno una struttura sul territorio a cui rivolgersi o che hanno bisogno di trattamenti che non sono erogati nelle strutture vicino al loro luogo di abitazione. Noi prendiamo in carico questi pazienti e attuiamo un percorso intensivo mirato che dura fra le quattro e le sei settimane. 

Come funziona il processo di valutazione dei pazienti?

Con i bambini che seguiamo applichiamo delle modalità di valutazione calibrate sulla base delle loro necessità e della loro patologia. Valutiamo le capacità motorie e sensoriali del bambino e in base ai risultati stabiliamo le priorità, che variano anche a seconda dell'età del paziente. Ad esempio, nel caso di un bambino di pochi mesi, che ha avuto una sofferenza alla nascita, in genere i genitori ci chiedono per prima cosa se sarà in grado di camminare. In questi casi il cammino è sempre un obiettivo primario del trattamento, ovviamente smette di esserlo quando ci si rende conto che il bambino non è in grado di poterlo fare. Il frutto di questa valutazione è il cosiddetto progetto riabilitativo. Una volta che questo viene stilato si passa ad elaborare il programma di riabilitazione e cioè si scelgono gli strumenti da adottare per raggiungere gli obiettivi individuati: gli specialisti da coinvolgere, le tecniche da applicare, la frequenza degli interventi di questi specialisti. Sia il progetto che il programma vengono aggiornati mano a mano che il bambino mostra miglioramenti.

 

Le famiglie dei pazienti vengono coinvolte in questa fase?

La famiglia fa sempre parte del team riabilitativo. Per gestire questi bambini non possiamo lavorare da soli, c'è bisogno di un lavoro di squadra, una squadra di cui la famiglia entra necessariamente a far parte. Noi dobbiamo spiegare ai genitori i problemi del bambino, gli obiettivi del progetto di riabilitazione e come pensiamo di raggiungerli, per coinvolgerli attivamente. Ad esempio, se chiediamo che il bambino comunichi usando una certa tabella, tutti in famiglia devono usare quella tabella, devono essere addestrati a farlo e devono chiedergli di usarla anche se, a un certo punto, riescono a comprendere cosa sta cercando di comunicare il bambino senza l'ausilio dello strumento. Solo in questo modo infatti possiamo aiutare il bambino ad apprendere nuove modalità di comunicazione che sono fondamentali anche per farsi capire al di fuori del nucleo familiare. La famiglia ha un grande valore ma è anche un elemento con cui ci possono essere criticità. 

Quali sono queste criticità e cosa fate per superarle?

E' sempre un momento delicato e critico quando dobbiamo comunicare ai genitori che il bambino può avere un danno cerebrale permanete e l'entità di quel danno. Per questo motivo diamo tempo alla famiglia per comprendere le condizioni del figlio. Per esempio, quando un bambino ci viene trasferito da un reparto di Terapia Intensiva c'è un grosso carico emotivo e di aspettative nei genitori. Ci prendiamo alcuni giorni prima di informare la famiglia sulle condizioni del figlio. Lo facciamo sia perché dobbiamo capire bene la situazione di disabilità presente, sia perché, nel caso di un paziente post-acuto, i genitori tornano da noi a stare col figlio 24 ore su 24 e quindi a rendersi conto dei suoi problemi. Una volta completato il bilancio clinico facciamo un colloquio con i genitori e li aggiorniamo sulla situazione in modo obiettivo, ma con un approccio ottimista. Non possiamo illudere i genitori ma neppure precludere possibilità di recupero a volte insperate: i bambini ci danno molte sorprese! Nei casi in cui il bambino non riesce a recuperare le sue funzioni, il rapporto con la famiglia è ancor più delicato. Ci possono essere difficoltà nell'accettare la situazione. L'accettazione richiede del tempo e, per riuscire a raggiungerla, spesso c'è bisogno di un supporto, di un aiuto. 

Come viene fornito questo supporto?

Abbiamo a disposizione gli psicologi che aiutano i genitori di un bambino ricoverato a elaborare quello che è successo e anche ad avere una modalità di relazione corretta con il bambino. Nel dettaglio lo psicologo suggerisce alla famiglia cosa bisogna fare e come farlo in maniera adeguata. La gestione in tal senso del nucleo familiare è un momento molto delicato e per questo motivo ci siamo attrezzati nella miglior maniera possibile. Se non c'è la fiducia dei genitori nel team riabilitativo è difficile riuscire ad intervenire nel modo migliore a favore del bambino. 

Quali sono le differenze fra bambini e adulti per quanto riguarda la neuroriabilitazione? 

Il bambino ha caratteristiche completamente diverse rispetto all'adulto. L'adulto che ha bisogno di riabilitazione è una persona che ha già sviluppato tutte le sue capacità e che, magari a seguito dei una lesione, perde parte di queste capacità. Il programma riabilitativo gli permette di recuperare (a volte completamente a volte c'è bisogno di strumenti per compensare, come ad esempio un'ortesi). Un bambino invece deve sviluppare le sue competenze, evolve nel tempo. Se un bambino di 4 anni, ad esempio, ha una lesione perde parte alcune delle capacità che ha acquisito, che può anche recuperare nel giro di alcuni mesi grazie a un programma riabilitativo. Nel frattempo però i suoi coetanei hanno acquisito altre competenze per il normale processo di sviluppo. Si può pertanto creare un divario fra quello che è in grado di fare un bambino e la sua età cronologica. Per questo noi che ci occupiamo della sua riabilitazione cerchiamo di cambiare la curva di sviluppo di questo bambino, cioè cerchiamo di fargli "guadagnare tempo", per esempio cercando di fargli fare un anno e mezzo di sviluppo nel tempo di un anno, per evitare che accumuli questo gap. Inoltre, quanto più bassa è l'età del bambino al momento della lesione neurologica tanto minore è la specializzazione degli emisferi cerebrali, quindi ha molte più possibilità di compensarle rispetto a un adulto. Questo rappresenta senz'altro un grande vantaggio. L'età evolutiva costituisce però anche un rischio. Infatti, La crescita del corpo in una condizione di disabilità, il mancato utilizzo di alcune funzioni nel momento in cui solitamente l'organismo le acquisisce, la frequente comparsa di epilessia legata all'immaturità del cervello, la ridotta autonomia personale, possono causare retrazioni tendinee, deformità ossee, difficoltà di apprendimento, disturbi comportamentali, e altre problematiche ancora. 

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