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Anemia di Diamond-Blackfan

Il 20% dei pazienti va incontro a una remissione spontanea. Altri vengono trattati con corticosteroidi e trasfusioni di globuli rossi 

L'anemia di Diamond-Blackfan (DBA) è una forma congenita di anemia dovuta all'incapacità del midollo osseo di produrre globuli rossi. È caratterizzata da grave anemia, presente dalla nascita o dai primi mesi di vita, cui si possono associare malformazioni congenite e aumentato rischio di neoplasie.

L'anemia di Diamond-Blackfan è una patologia congenita, dovuta, nella maggior parte dei casi, a una mutazione in uno dei geni coinvolti nella formazione delle strutture ribosomiali (i ribosomi sono la fabbrica delle proteine). Alla base dell'anemia di Diamond-Blackfan sono state identificate mutazioni in 16 geni che codificano per proteine ribosomiali (le più frequenti a carico del gene RPS19) e nei geni GATA1 e TSR2. GATA1 codifica per un fattore di trascrizione, una proteina che lega specifiche regioni del DNA e controlla la funzione di molti geni. TSR2 è un gene implicato nella maturazione dei ribosomi. Tuttavia, in una parte dei pazienti il gene responsabile non viene identificato. 
Nella maggior parte dei casi si tratta di mutazioni sporadiche o de novo, mutazioni cioè che non vengono ereditate dai genitori (i quali non sono dunque portatori) ma che si sono verificate spontaneamente nei geni di una delle della cellule riproduttive dei genitori (spermatozoi o cellule uovo) unitesi nel concepimento.
Nella restante parte dei casi, la mutazione viene ereditata da un genitore. L'ereditarietà è più frequentemente di tipo autosomico dominante (cioè c'è una probabilità del 50% di trasmetterla ai figli, indipendentemente dal sesso). Le forme dovute a mutazioni dei geni GATA1 e TSR2 sono trasmesse con modalità legata al cromosoma X.

L'anemia di Diamond-Blackfan si manifesta, fin dalla nascita o dai primi mesi di vita, con un quadro di grave anemia. I sintomi/segni di anemia che si possono rendere evidenti in un neonato/lattante sono pallore, scarsa vivacità, riduzione dell'alimentazione, facile affaticamento, sopore, difficoltà respiratoria, soprattutto durante l'allattamento/alimentazione. All'anemia si associa, in circa 1/3 dei casi, uno scarso accrescimento.
Le malformazioni congenite, presenti nel 50% circa dei pazienti, possono riguardare gli arti superiori/mano/pollice, il volto, il cuore o l'apparato genito-urinario.
Infine, l'anemia di Diamond-Blackfan è una condizione che predispone allo sviluppo di neoplasie, in particolare leucemie mieloidi acute, sindromi mielodisplastiche e tumori solidi, tra cui l'osteosarcoma.

La diagnosi di anemia di Diamond-Blackfan può essere sospettata, prevalentemente nel primo anno di vita, in un bambino con anemia con ridotto numero di reticolociti (globuli rossi giovani, immaturi, che vengono rilasciati dal midollo osseo nel circolo sanguigno), eventualmente associata a malformazioni congenite.
Alcuni parametri di laboratorio quali l'incremento dell'attività dell'enzima adenosina deaminasi eritrocitaria (eADA) e della concentrazione di emoglobina fetale (HbF) sono spesso presenti, sebbene non specifici, e possono avvalorare la diagnosi.
L'esame del midollo osseo (aspirato midollare e biopsia osteomidollare) mostra una marcata riduzione dei precursori dei globuli rossi con normale numero di precursori dei globuli bianchi e delle piastrine.
L'individuazione di una mutazione in uno dei geni noti per essere associati all'anemia di Diamond-Blackfan conferma la diagnosi

Per quanto una certa quota di pazienti (fino al 20% secondo alcune casistiche) possa andare incontro a una remissione spontanea della malattia (più frequentemente nei primi 10 anni di vita), il trattamento dell'anemia di Diamond-Blackfan si basa sull'utilizzo di corticosteroidi, sulla trasfusione di globuli rossi concentrati e, in casi selezionati, sul trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (o trapianto di midollo osseo).
Infatti, una buona percentuale di pazienti ottiene una risposta ematologica (cioè va incontro a un aumento dell'emoglobina) alla terapia con corticosteroidi e, in alcuni casi, lunghi periodi di remissione anche dopo la sospensione del trattamento. Questi farmaci, tuttavia, sono gravati da rilevanti effetti collaterali quando il trattamento viene protratto per lunghi periodi (come nel caso di questa patologia) e devono quindi essere prescritti da medici esperti nel trattamento della malattia. Nel caso in cui le dosi di steroide necessarie a mantenere un livello di emoglobina adeguato (sufficiente cioè a garantire una normale attività quotidiana e un adeguato accrescimento) siano troppo elevate, il trattamento viene considerato inefficace. 
Le trasfusioni di globuli rossi sono impiegate quando è necessario aumentare rapidamente i livelli di emoglobina, in caso di mancata o inadeguata risposta alla terapia con corticosteroidi e nei pazienti costretti a sospendere il trattamento per importanti effetti collaterali. Poiché il sangue trasfuso contiene alte quantità di ferro che l'organismo non è in grado di eliminare, in caso di trasfusioni ripetute è necessario iniziare una terapia specifica per l'eliminazione del ferro (terapia ferrochelante), al fine di prevenire tossicità d'organo (per esempio al fegato). 
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche è l'unico trattamento curativo della patologia. È indicato nei pazienti dipendenti da trasfusioni quando è disponibile un fratello non affetto HLA-compatibile. Nei pazienti che non dispongono di un donatore familiare compatibile, vi è la possibilità di eseguire il trapianto da donatori alternativi (come per esempio quelli selezionati sui registri internazionali dei donatori di midollo osseo).


  • A cura di: Luisa Strocchio
    Unità Operativa di Onco-Ematologia
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 31 ottobre 2019


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