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Malattie dalla A alla Z

Linfoma non Hodgkin (LNH)

È gruppo di neoplasie che colpiscono il sistema linfatico e che si manifestano con un aumento di volume di alcuni linfonodi 

Non è una singola malattia ma piuttosto un gruppo di neoplasie strettamente correlate che colpiscono il sistema linfatico. I differenti tipi di Linfoma non Hodgkin hanno molte caratteristiche in comune, ma si differenziano per:

- L'aspetto microscopico delle cellule;
- Le modalità di accrescimento;
- La sede di sviluppo.

I Linfomi non Hodgkin si dividono in due grandi categorie:

- Linfoma non Hodgkin a cellule B che derivano dall'anomalo sviluppo dei linfociti B;
- Linfoma non Hodgkin a cellule T che derivano dall'anomalo sviluppo dei linfociti T.

Il Linfoma non Hodgkin può insorgere in uno o più linfonodi, in organi linfoidi specializzati e nei tessuti linfoidi localizzati in vari organi (apparato gastroenterico, polmone, etc.).
Dalla sede di partenza i linfociti anomali possono diffondersi attraverso i vasi interessando più organi (malattia sistemica), oppure possono rimanere localizzati (malattia localizzata).
Le cause esatte dei Linfomi non Hodgkin sono sconosciute, sono tuttavia segnalati alcuni fattori di rischio:

- Esposizione a sostanze chimiche (pesticidi, fertilizzanti, solventi);
- Infezione da virus di Epstein Barr (agente responsabile della mono-nucleosi);
- Infezione da virus HTLV-1;
- Infezione da HIV;
- Familiarità (non è documentata ereditarietà);
- Trapianto d'organo.

In ogni caso una relazione definitiva non è stata ancora confermata e non è detto che qualora esistano dei fattori di rischio, necessariamente si debba contrarre la malattia e viceversa.

Vari accertamenti sono necessari per valutare quanto è estesa la malattia e in che misura sono compromesse le normali funzioni dell'organismo. Alla luce di questo, il medico valuterà quale sarà il trattamento migliore per la cura del linfoma.
Gli accertamenti necessari vengono di solito prescritti da un ematologo (medico specializzato nella diagnosi e nel trattamento delle malattie del sangue).
La storia clinica del paziente, l'esame obiettivo, gli esami ematochimici e strumentali (ecografia, radiografia, tomografia computerizzata) permettono di valutare l'estensione della malattia e di indirizzare ad uno o più trattamenti mirati ad ottenere una remissione completa.

Non ci sono sintomi specifici di Linfoma non Hodgkin. Spesso i pazienti arrivano dal medico riferendo un quadro simil-influenzale o disturbi respiratori che non regrediscono.
La presentazione più comune del Linfoma non Hodgkin è un aumento di volume di alcuni linfonodi che non danno dolore, al collo, sotto le ascelle all'inguine o in altre sedi. Un aumento di volume dei linfonodi inguinali può causare la comparsa di edemi agli arti inferiori, mentre un aumento dei linfonodi addominali può dare una sensazione di dolore o di gonfiore. Meno comunemente il Linfoma non Hodgkin si può presentare senza linfonodi aumentati di volume. In alcuni pazienti sono presenti altri sintomi: febbre, perdita di peso, sudorazione notturna, brivido, astenia, prurito. Di solito non compare dolore specie nelle forme in uno stadio iniziale.
Chiaramente non tutti coloro che hanno questi sintomi hanno il linfoma, tuttavia se questi sintomi sono persistenti, è necessario eseguire degli accertamenti diagnostici.
All'esame clinico il medico andrà a cercare dei linfonodi aumentati di volume a livello del collo, ascelle, inguine; osserverà la regione delle tonsille; visiterà il torace per escludere che ci siano versamenti; palperà l'addome alla ricerca di linfonodi, milza e fegato ingranditi; chiederà al paziente se avverte debolezza, dolore, formicolii (potrebbero insorgere per un'eventuale compressione dei nervi da parte di linfonodi aumentati).
Se c'è il sospetto di un linfoma bisognerà intraprendere una serie di accertamenti per arrivare alla diagnosi.
Questi test sono:

- Radiografia del torace, tomografia computerizzata total body, risonanza magnetica nucleare, scintigrafia;
- Esami ematochimici;
- Esame citomorfologico ed istologico del midollo osseo; a seconda dei casi esame del liquor cerebrospinale;
- Biopsia del linfonodo.

Negli ultimi 20 anni la percentuale di pazienti con linfoma che ottiene e mantiene la remissione completa è aumentata significativamente. Nei bambini e nei ragazzi di età compresa tra 2 e 20 anni, le probabilità di guarigione sono superiori al 70%, mentre per le forme indolenti non sono ancora stati ottenuti questi risultati.
Lo schema di trattamento da utilizzare dipende da molti fattori: il tipo e grado di Linfoma non Hodgkin, l'estensione della malattia e vari fattori prognostici.
I trattamenti utilizzati comprendono:

- Chemioterapia;
- Radioterapia;
- Nuove terapie biologiche;
- Trapianto di cellule staminali (in alcuni casi).

La chirurgia è indicata solo in alcune circostanze e comunque non a scopo terapeutico.
Lo scopo del trattamento è di ottenere la Remissione Completa (RC).
La terapia di prima linea è la prima a cui il paziente viene sottoposto. La risposta può essere:

1. Remissione Completa: totale scomparsa di tutti i segni di malattia. Ciò non significa che il paziente è guarito, ma che in quel momento non c'è malattia. Se tale stato si mantiene a lungo termine allora si parla di guarigione e questa possibilità è tanto maggiore quanto più ci si allontana dal tempo della diagnosi. Poiché la malattia potrebbe ripresentarsi è molto importante controllare il paziente nel tempo;
2. Guarigione: se ne parla dopo alcuni anni dalla fine della terapia; le forme ad alto grado sono più facilmente curabili delle forme a basso grado che tendono a recidivare anche dopo anni;
3. Remissione Parziale: questo termine si usa per indicare che c'è stata una risposta, ma non si è ottenuta la totale scomparsa della malattia, c'è ancora un residuo di malattia inferiore al 50% della malattia iniziale;
4. Malattia refrattaria: la malattia è resistente al trattamento;
5. Progressione di malattia: nonostante la terapia la malattia aumenta.

Gli altri fattori che possono determinare il successo della terapia oltre al tipo istologico di Linfoma non Hodgkin e al grado sono:

- Età: pazienti di età <60 anni hanno una prognosi migliore (i più giovani hanno in genere un organismo più sano e tollerano meglio trattamenti più aggressivi);
- Performance status: indica le condizioni generali e lo stato di autosufficienza del paziente prima e durante la malattia; è espresso in una scala da 0 a 4, dove 4 indica uno stato terminale; chiaramente la prognosi è peggiore se il PS è alto;
- LDH: alti livelli di tale enzima correlano con maggiore aggressività di malattia;
- Malattia extranodale: l'interessamento di altri organi quale midollo osseo, sistema nervoso centrale, cute, organi interni peggiora la prognosi;
- Stadio di malattia: gli stadi I e II indicano un Linfoma non Hodgkin localizzato che ha una prognosi migliore, III e IV indicano una malattia avanzata che ha una prognosi meno buona.

Bisogna chiarire bene il concetto di prognosi dicendo che la formulazione di una prognosi si basa su informazioni acquisite da centinaia o migliaia di pazienti che sono stati affetti dalla stessa malattia, che hanno ricevuto analoghi trattamenti e che hanno ottenuto un certo tipo di risposta; tuttavia nessun paziente è uguale all'altro e le statistiche fatte su grandi numeri non sempre sono applicabili a tutti.
Nel trattamento del Linfoma non Hodgkin come di altre neoplasie, possiamo distinguere tra terapie standard, che sono quelle comunemente usate, e sperimentali che sono in corso di studio.

Molti pazienti rispondono bene ai trattamenti e sopravvivono in salute per molti anni, alcuni problemi possono però emergere tardivamente (per esempio i pazienti che hanno ricevuto terapia radiante al collo possono sviluppare un ipotiroidismo).
Possibili conseguenze a lungo termine sono la sterilità e la menopausa precoce. Questo rischio dipende dal tipo di trattamento e dalla dose ricevuta: è più frequente che si verifichi in donne con più di 30 anni, mentre l'80% delle donne con meno di 30 anni riprende la funzione mestruale. Negli uomini la sterilità può essere temporanea o permanente, prima di cominciare la terapia l'uomo può criopreservare il seme e la donna gli ovuli.
I pazienti trattati per un Linfoma non Hodgkin possono correre un alto rischio di sviluppare un secondo tipo di tumore quale: leucemia, melanoma polmonare o altro. Altri problemi interessano i polmoni ed il cuore infatti c'è un rischio maggiore di sviluppare patologie a carico di questi organi a causa della tossicità dei chemioterapici.
I pazienti che ricevono terapia radiante hanno un aumentato rischio di sviluppare un tumore nell'area irradiata nei successivi 20 anni; l'eccessiva esposizione al sole di queste aree può indurre lo sviluppo del tumori cutanei; maggiore è il rischio di sviluppare tumore alla mammella nelle donne che sono state irradiate al torace.

La ricomparsa del Linfoma non Hodgkin dopo la remissione completa è detta recidiva.
Il tipo di Linfoma non Hodgkin ed il tempo trascorso tra la remissione e la recidiva influenzeranno la scelta del trattamento. Le terapie di salvataggio spesso conducono ad una seconda remissione o alla guarigione ed includono altri regimi chemioterapici, anticorpi monoclonali, trapianto di cellule staminali.

Il midollo osseo contiene delle cellule immature dette cellule staminali che danno origine ai tre elementi cellulari che troviamo nel sangue: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. In alcuni casi di Linfoma non Hodgkin con prognosi più sfavorevole o in caso di recidiva possono essere necessarie alte dosi di chemioterapia o di radioterapia per distruggere le cellule linfomatose, seguite da trapianto di midollo osseo o di cellule staminali per ricostruire il midollo osseo.
I trapianti vengono suddivisi in due categorie a seconda delle sorgenti di cellule staminali:

- Trapianto allogenico: le cellule vengono prelevate da un donatore compatibile che può essere un familiare (fratello, sorella) o non familiare (da registro);
- Trapianto autologo: in questo caso il paziente riceve cellule staminali sane prelevate da se stesso dopo la chemioterapia e con opportuna stimolazione.

Le cellule staminali sono prelevabili dal midollo osseo, dal sangue periferico con opportuni macchinari, e da cordone ombelicale.
Il trapianto di cellule staminali ha maggiori possibilità di successo nei pazienti in remissione completa piuttosto che in quelli in remissione parziale o in piena ricaduta.
Il trapianto di cellule staminali è una procedura altamente sofisticata e potenzialmente rischiosa: il midollo osseo del paziente e possibilmente tutte le cellule linfomatose residue, vengono distrutti preventivamente da una terapia intensa ad alte dosi e dalla successiva azione delle cellule immunologicamente attive del donatore contro le cellule del ricevente.
Il midollo osseo distrutto viene quindi sostituito con le cellule del donatore (allotrapianto) oppure con quelle del ricevente stesso prelevate in remissione (autotrapianto). Finché il nuovo midollo non inizia a funzionare i pazienti dipendono interamente dalle cure di sostegno per contrastare l'anemia, le emorragie e le infezioni.
Nel trapianto allogenico i pazienti sono esposti al rischio di una crisi di rigetto che è una reazione immunologica potenzialmente letale in cui il midollo del donatore rigetta i tessuti del ricevente. Nel caso di buon fine della terapia, il midollo trapiantato genera una nuova popolazione di cellule sane.

Nella radioterapia viene sfruttata l'energia dei raggi X per uccidere le cellule tumorali ed eliminare il tumore. È una terapia locale che agisce solo sulle cellule neoplastiche dell'area trattata; in base al tipo di tumore, la radioterapia può essere utilizzata da sola o in combinazione alla chemioterapia.
"Campo di irradiazione" è il termine usato per indicare la parte del corpo che deve essere irradiata. Poiché l'estensione del linfoma non è sempre definibile con precisione, la radioterapia è confinata ai linfonodi e alle aree strettamente adiacenti. I campi di irradiazione sono stabiliti caso per caso in base al tipo e all'estensione della malattia.
Le aree che comunemente vengono irradiate sono: il mantello (regione del collo, torace e sopraclaveare), l'addome superiore (linfonodi paraortici e milza), pelvi e linfonodi inguinali. In alcuni casi può essere necessario irradiare tutti i campi.
Per preparare il paziente alla radioterapia è necessario individuare radiologicamente l'area da irradiare e disegnarne i contorni sulla cute in modo tale che ogni volta si tratti la zona giusta. I tessuti sani circostanti alla zona da irradiare saranno schermati con protezioni di piombo. Il paziente viene esposto alle radiazioni in sedute giornaliere di pochi minuti: la dose totale prescritta viene raggiunta gradualmente in alcune settimane.

Effetti collaterali della radioterapia
La radioterapia non è dolorosa ed il paziente non è radioattivo. Gli effetti collaterali più comuni sono:

- Astenia (può durare anche alcune settimane dopo la fine della terapia);
- Riduzione dell'appetito e del senso del gusto;
- Irritazione della gola (soprattutto se viene irradiata la zona del collo);
- Secchezza delle mucose della bocca per riduzione della produzione di saliva (è utile assumere cibi leggeri, piccole quantità, introdurre liquidi escludendo quelli irritanti come succhi di frutta, limone);
- Reazioni della cute come arrossamenti accompagnati da fastidio, prurito ed edema (queste alterazioni di solito scompaiono poche settimane dopo la sospensione della terapia, la pelle può sembrare abbronzata ed eventualmente sbucciata). È importante, durante la radioterapia, non esporre al sole le aree irradiate onde evitare pericolose ustioni. 

La nausea può insorgere dopo il primo trattamento specie nei pazienti che vengono irradiati all'addome; alcuni pazienti possono avere nausea se hanno mangiato nelle ore precedenti la radioterapia soprattutto cibi dolci, grassi o piccanti. Se la nausea costituisce un problema si può ricorrere ad antiemetici.
Perdita di capelli o peli può insorgere nelle aree irradiate.

Le modalità di somministrazione della chemioterapia sono:

- Per iniezione endovenosa (la modalità più frequente);
- Per iniezione intramuscolare;
- Per bocca.

Se si prevede un trattamento per via endovenosa di lunga durata, il medico può proporre l'inserimento di un catetere venoso temporaneo o permanente per somministrare farmaci e altra terapia in modo più comodo, indolore e per non danneggiare le vene periferiche che possono essere seriamente rovinate dai chemioterapici.
Esistono diversi tipi di catetere venoso centrale, il tipo più comune è chiamato Hickman-Broviac e consiste di due tubicini che vengono inseriti attraverso la parete toracica in una grossa vena, circa 20-30 cm di tubo rimangono all'esterno. Il vantaggio del posizionamento del catetere è quello di poter eseguire i prelievi di sangue e la chemioterapia senza dover sottoporre i bambini a continue punture. Lo svantaggio consiste nella possibilità di infezioni se il catetere non è curato propriamente.

Effetti collaterali
I chemioterapici hanno lo scopo di distruggere le cellule tumorali, ma hanno anche vari effetti collaterali. L'associazione di più farmaci incrementa l'efficacia del trattamento, ma non può eliminare gli inevitabili effetti collaterali.
La chemioterapia agisce su tutte le cellule in attiva replicazione dell'organismo, colpisce quindi non solo le cellule tumorali, ma anche le cellule sane.
Le cellule sane che risultano più spesso colpite dalla chemioterapia sono le cellule del midollo, dei follicoli piliferi, del tratto gastrointestinale e del sistema riproduttivo.
Come risultato, gli effetti collaterali più comuni sono: anemia, infezioni, emorragie; perdita di capelli; mucosità; difficoltà nella deglutizione, nausea, vomito; costipazione o diarrea.

Anemia, infezioni, emorragie
Nel corso del trattamento i globuli rossi, bianchi e le piastrine vengono continuamente monitorizzati. Ogni cellula del sangue ha una specifica funzione:

- I globuli rossi trasportano l'ossigeno;
- I globuli bianchi prevengono le infezioni;
- Le piastrine prevengono e bloccano le emorragie.

L'anemia si instaura quando decresce il numero dei globuli rossi. Una parte importante dei globuli rossi è l'emoglobina che trasporta l'ossigeno ai tessuti. Quando l'emoglobina è bassa, il livello di ossigeno nei tessuti scende e il corpo inizia ad avere difficoltà a svolgere le normali attività. I sintomi dell'anemia sono: pallore, debolezza, stanchezza, cefalea, irritabilità. 
I globuli bianchi sono di diversi tipi, i più importanti sono i neutrofili perché ci difendono dalle infezioni causate dai batteri. Quando i neutrofili scendono sotto i livelli di 1000/mmc il paziente è considerato neutropenico. In corso di neutropenia è importante avvisare subito il medico quando compaiono i seguenti sintomi: febbre>38°C, brividi e sudorazione, tosse e respiro affannoso.
Nel periodo in cui si effettua la chemioterapia e soprattutto in corso di neutropenia è utile prendere alcune precauzioni:

- Misurare frequentemente la temperatura;
- Evitare gli ambienti affollati e chiusi;
- Evitare di mangiare cibi non cotti che possono contenere germi come le verdure fresche, la frutta non sbucciata, i dolciumi.

Le piastrine hanno un'importante funzione emostatica. Il livello normale di piastrine varia tra 150000/mmc e 400000/mmc. Quando i livelli di piastrine scendono sotto i 40000/mmc aumenta il rischio emorragico.
I sintomi più frequenti di una piastrinopenia sono: presenza di ecchimosi e petecchie sulla cute, sanguinamento dal naso e dalle gengive, presenza di sangue nelle urine. In corso di piastrinopenia è bene utilizzare alcune regole di comportamento:

- Lavare i denti delicatamente con uno spazzolino morbido;
- Evitare il consumo di farmaci come l'aspirina o altri anti-infiammatori non steroidei;
- Evitare attività o esercizi fisici che possono provocare traumi;
- Non utilizzare indumenti troppo stretti;
- Proteggere sempre da possibili traumi piedi e gambe con calze e scarpe.

Perdita di capelli
La perdita di capelli è un effetto inevitabile della chemioterapia e della radioterapia. Le cellule responsabili della crescita dei capelli sono cellule in attiva replicazione che risentono dell'azione dei farmaci chemioterapici. La rapidità con cui avviene la perdita di capelli è variabile da persona a persona e dipende dal tipo e dal dosaggio di chemioterapia usato. Inizia in genere 2-3 settimane dopo il primo ciclo di terapia ed interessa oltre ai capelli anche i peli del viso, delle braccia e gambe, del pube e le sopracciglia. La ricrescita avviene in tutti i pazienti circa quattro mesi dopo l'ultimo ciclo di chemioterapia. In molti casi il colore dei capelli può essere temporaneamente diverso ma con il tempo ritorna normale.

Mucosite
La mucosite può essere un effetto collaterale della chemioterapia o della radioterapia ed è causata da una distruzione delle cellule che producono saliva. La perdita temporanea di queste cellule e la riduzione dei globuli bianchi facilita il rischio di infezioni che peggiorano il quadro della mucosite. La prevenzione della mucosite consiste nell'effettuare lavaggi frequenti della bocca con soluzioni contenenti sodio bicarbonato, disinfettanti e antifungini. È utile inoltre preferire cibi morbidi non irritanti e facilmente masticabili.

Nausea e vomito
La nausea e il vomito sono effetti collaterali frequenti del trattamento chemioterapico. Tuttavia sono effetti temporanei e rispondono facilmente al trattamento. Sono disponibili in commercio diversi tipi di farmaci antiemetici che devono essere somministrati prima della chemioterapia.

Costipazione
La costipazione è causata da una scarsa quantità di liquidi e da una ridotta motilità a livello intestinale. Alcuni chemioterapici possono contribuire a determinare costipazione perché agiscono sulle strutture nervose dell'intestino e riducono la contrattilità del colon. È bene aumentare l'introito di liquidi durante la somministrazione della chemioterapia ed eventualmente associare alla terapia dei blandi lassativi.

Diarrea
La diarrea può avere molteplici cause che comprendono: la chemioterapia, radioterapia, infezioni, ipersensibilità a determinati cibi, disturbi emozionali. Durante un episodio di diarrea i cibi transitano molto velocemente a livello intestinale prima che il corpo possa assorbire sufficienti vitamine, minerali e acqua. Questo può causare disidratazione e aumentare il rischio di infezioni. È consigliabile, quando si verifica questo evento, mantenere una buona idratazione preferendo bevande contenenti sali minerali come ad esempio il tè e assumere pasti piccoli ma frequenti.

La terapia biologica (inclusa l'immunoterapia) è un trattamento che sfrutta la capacità di difesa dello stesso organismo malato per trattare il tumore o per ridurre gli effetti collaterali causati dalle terapie. Queste terapie possono agire direttamente o ripristinare le naturali difese contro la malattia. Tali trattamenti includono:

- Gli anticorpi monoclonali;
- La radioimmunoterapia;
- L'interferone;
- I vaccini;
- Le terapie "antisense";
- La terapia antiangiogenesi e la terapia genica.

Gli anticorpi monoclonali (MAbs)
Sono simili ad un missile guidato che raggiunge il suo obiettivo. Quando un agente esterno entra in contatto con l'organismo il sistema immunitario produce anticorpi diversi (policlonali) diretti contro particolari molecole chiamate antigeni, espressi sulla superficie dell'invasore.
Gli anticorpi sono prodotti dalle plasmacellule che sono le cellule più mature della linea B linfocitarie presenti nel corpo, ogni plasmacellula è responsabile della produzione di un anticorpo, detto pertanto monoclonale.
Ogni anticorpo monoclonale agisce specificamente contro un preciso antigene.
Utilizzando nuove tecniche è attualmente possibile produrre una grande quantità di anticorpi monoclonali che siano diretti contro un singolo antigene, espresso sulla superficie cellulare.
Varie strategie terapeutiche coinvolgenti l'uso di anticorpi monoclonali (MoAbs) sono in corso di studio:

- MoAbs che reagiscono con specifici tipi di cellule tumorali inducendo la risposta immune del paziente contro il tumore;
- MoAbs che veicolano farmaci, tossine o radioisotopi portandoli direttamente a contatto con la cellula neoplastica da distruggere;
- MoAbs che vengono utilizzati prima di un trapianto autologo per distruggere le cellule neoplastiche residue.

Il RituxiMAb è stato il primo anticorpo monoclonale ad essere utilizzato nel trattamento di numerosi linfomi aggressivi. Il RituxiMAb è attivo contro l'antigene CD20 presente sulla superficie di quasi tutti i linfociti B, ed è in grado di eliminare sia le cellule linfomatose che le cellule B normali.
Si pensa che le cellule linfomatose vengano attaccate dal sistema immune in risposta al legame della cellula con il MoAb. Poiché i lifociti normali più giovani non possiedono l'antigene CD20, non vengono colpiti dal Mab. Le cellule B sono rigenerate dopo il trattamento da queste cellule cosiddette staminali.

La radio-immunoterapia
Gli anticorpi monoclonali (MoAbs) sono diretti contro uno specifico antigene espresso sulle cellule neoplastiche; ci sono alcuni anticorpi monoclonali a cui viene legata una molecola radioattiva che svolgerà la sua azione direttamente sulla cellula neoplastica. La radioimmunoterapia consiste nell'attaccare all'anticorpo isotopi radioattivi tipo: iodio 131 e ittrio 90 (il secondo) questi anticorpi sono usati per il trattamento di Linfoma non Hodkin (LNH) B a basso grado o in trasformazione, resistenti alle terapie standard.
Sono in corso molti studi finalizzati ad estenderne le applicazioni e a sintetizzarne di nuovi.

L'interferone
L'interferone alfa (IFNa) è una proteina normalmente prodotta dall'organismo che agisce contro le cellule neoplastiche; viene sintetizzato artificialmente per uso terapeutico. Distrugge le cellule tumorali sia direttamente che attraverso il sistema immunitario. Alcuni studi hanno dimostrato che somministrando l'interferone alfa in associazione con la chemioterapia si può migliorare la risposta nei pazienti affetti da Linfoma non Hodgkin a basso grado; molti ne raccomandano l'uso come terapia di mantenimento dopo la chemioterapia; molti studi hanno dimostrato l'efficacia dell'interferone alfa nel prolungare la durata della remissione, ma scarsa efficacia in termini di prolungamento della sopravvivenza.
Come effetto collaterale l'interferone alfa può provocare una sintomatologia tipo sindrome influenzale: febbre, debolezza, sonnolenza, dolori osteoarticolari e muscolari. L'assunzione prima di andare a dormire associata ad una buona idratazione e all'assunzione di FANS, riduce tali effetti.
L'interferone alfa può anche indurre una sindrome depressiva a volte grave; altri effetti più rari includono anoressia e disfunzione tiroidea.

I vaccini
Ancora non costituiscono un trattamento standard ma sono in corso di studio. Stimolano il sistema immunitario del paziente contro la malattia. Studi preliminari hanno dimostrato che hanno un effetto antineoplastico nei pazienti con malattia residua o in remissione. Tuttavia è ancora troppo presto per trarre delle conclusioni.

Le terapie "antisense"
Sono farmaci che dovrebbero indurre l'arresto delle produzione di proteine che in molti casi sono cancro-specifiche così che le cellule neoplastiche non possono sopravvivere. Sono terapie dirette contro specifiche forme di tumore tra cui i Linfomi non Hodgkin. Questi farmaci potrebbero essere meno tossici di altri perché risparmiano la cellule sane. Sono in corso di sperimentazione vari protocolli.

La terapia antiangiogenesi e la terapia genica
Sono trattamenti in corso di studio.
Lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni è detto angiogenesi, molti tumori stimolano l'angiogenesi causando sviluppo di nuovi vasi e quindi permettendo la crescita del tumore. I farmaci antiangiogenesi impediscono lo sviluppo di nuovi vasi e distruggono il sistema dei vasi anomali che riforniscono il tumore limitando così la crescita dello stesso.
La terapia genica mira a modificare la struttura genica delle cellule tumorali così da renderle riconoscibili ed eliminabili da parte del sistema immunitario; oppure è finalizzata a rendere le cellule più sensibili ai trattamenti.
Entrambe le strategie terapeutiche potrebbero essere usate in combinazione con la chemioterapia. Si tratta comunque ancora di terapie sperimentali.


  • A cura di: Roberta Caruso, Matteo Luciani
    Unità Operativa di Onco-Ematologia
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 26 novembre 2019


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