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Bilinguismo: quando in famiglia si parlano due lingue

Regioni in cui convivono da sempre lingue diverse o genitori che parlano lingue diverse. Sono situazioni in cui il bambino impara a utilizzare più lingue allo stesso modo 

Si parla di bilinguismo quando una persona è in grado di utilizzare nello stesso modo due (o più) lingue diverse. Esistono diverse condizioni di bilinguismo che possono dipendere dall'età di acquisizione della seconda lingua:

  • Il bilinguismo simultaneo: in cui il bambino si trova ad ascoltare (viene esposto) contemporaneamente due lingue sin dalla nascita o almeno entro il primo anno di vita;
  • Il bilinguismo sequenziale precoce: esposizione alla seconda lingua tra i 2-3 e gli 8-10 anni di vita;
  • Il bilinguismo sequenziale tardivo: introduzione della seconda lingua dopo gli 8-10 anni.

Ci sono situazioni diverse in cui il bambino è esposto a più lingue: basti pensare a quelle regioni in cui convivono da sempre lingue diverse, come l'Alto Adige o il Piemonte, e che sono culturalmente organizzate per questo, a scuola (con i libri e con i docenti) o in società (cartellonistica, uffici pubblici, negozi) e che quindi ne supportano meglio l'acquisizione.

Un'altra condizione di bilinguismo è quella che deriva dall'esposizione a una seconda lingua dovuta al trasferimento da una nazione all'altra o alla presenza di genitori che parlano lingue diverse. Situazioni, come si può immaginare, molto diverse tra loro e piuttosto comuni nella nostra società.

Nel primo caso (convivenza di lingue diverse nello stesso territorio) si può parlare di bilinguismo bilanciato, nel secondo caso, più frequente, si parla di bilinguismo dominante. In questo tipo di bilinguismo, il bambino apprende meglio la lingua che ascolta, come nel caso di bambini che con le loro famiglie si trovano in un Paese estero. 

I bambini bilingui sono più intelligenti dei bambini monolingui?
No, ma è vero che imparano prima a "destreggiarsi" in situazioni che richiedono una decisione, perché già abituati a scegliere continuamente che lingua utilizzare: in che lingua rispondo?
Inoltre hanno sviluppato una maggiore flessibilità nella comunicazione secondo il contesto: con mamma o papà, a scuola o con i fratelli.

Il bilinguismo causa ritardi o disturbi di linguaggio?
No, se il bambino è ben esposto e stimolato al linguaggio in entrambe le lingue percorre generalmente le stesse tappe di sviluppo dei bambini monolingui. Talvolta può presentare tempi di apprendimento lievemente più lunghi nella comparsa delle prime parole o nella risposta. Questo lieve allungamento dei tempi di apprendimento non si può considerare un vero e proprio ritardo del linguaggio e, meno che mai, un disturbo di linguaggio.
I bambini bilingui però, possono avere un disturbo di linguaggio, né più né meno come i bambini monolingui, ma il bilinguismo non ne è la causa.

I bambini con disturbo di linguaggio devono usare una sola lingua?
No, recenti studi dimostrano che il bambino con disturbo del linguaggio può trarre dei vantaggi dall'esposizione a due lingue, anche quando sta effettuando una terapia riabilitativa (per esempio logopedia o neuropsicomotricità). È però opportuno considerare in modo adeguato diversi contesti: bilinguismo simultaneo o sequenziale, bilanciato o prevalente, contesto familiare e sociale, tipologia e gravità del disturbo del linguaggio, possibilità di terapia in una o due lingue (molto rara). 

  • Un genitore, una lingua: la prima cosa da fare è parlare al bambino nella propria lingua, ovvero quella in cui è più bravo. La stimolazione linguistica del bambino sarà più corretta in entrambe le lingue e potrà avvenire più facilmente il passaggio da una lingua all'altra;
  • Comunicare in situazioni sociali e affettive: è importantissimo utilizzare entrambe le lingue in contesti comunicativi significativi, ricchi di condivisione affettiva e sociale. Inoltre, l'apprendimento linguistico viene facilitato, specialmente nelle prime fasi dello sviluppo, dal contatto con gli occhi, con il movimento delle labbra e in generale con il volto di chi gli parla;
  • Mantenere la “lingua del cuore”: non abbandonare la propria lingua di origine anche se si vive in un contesto culturale differente dal proprio. La lingua madre viene infatti definita anche come "lingua del cuore" perché è tramite quest'ultima che riescono a essere trasmessi meglio le emozioni e gli affetti. Inoltre, essa fa parte della dimensione sociale dell'individuo, è alla base dei rapporti con la famiglia e mantiene il legame con il proprio paese d'origine;
  • Dare tempo al proprio bambino: specialmente nelle prime fasi di esposizione al linguaggio, bisogna aspettare con pazienza la risposta del bambino, in qualsiasi forma venga data (verbale, mimica, motoria….), non incalzandolo con nuove domande o con la richiesta di ripetizione di parole o frasi. In quel silenzio sta elaborando il proprio pensiero verbale, dobbiamo lasciarlo fare e mantenere sempre il nostro sguardo su di lui.

 

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  • A cura di: Luigi Marotta
    Dipartimento di Neuroriabilitazione Intensiva e robotica
    Unità Operativa Degenza Riabilitativa UDGEE, S. Marinella
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 25  Novembre 2022 


 
 

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