
Storicamente, nella Fibrosi cistica (FC) è stato osservato un decorso più severo e una minore aspettativa di vita nelle femmine rispetto ai maschi.
Studi retrospettivi su ampi campioni, come quello condotto su 40.782 individui con FC, hanno evidenziato che le donne presentano tassi significativamente più elevati di esacerbazioni polmonari rispetto agli uomini. Queste differenze emergono già nei primi anni di vita e persistono anche in età adulta (Montemayor K).
Da uno studio multicentrico (Olesen HW) emerge una leggera prevalenza del numero delle femmine che hanno infezione cronica da Pseudomonas aeruginosa ed è nettamente maggiore il numero di femmine adulte che hanno infezione da specie di Burkholderia.
Nel corso del periodo di osservazione dello studio è stato evidenziato un maggiore numero di femmine adulte che diventano cronicamente infette da paseudomonas aeruginosa. Queste differenze sul piano infettivo possono spiegare perché le femmine facciano un maggior numero di cicli di antibiotici.
Un’analisi del Registro della Cystic Fibrosis Foundation (oltre 21.000 pazienti) ha confermato una mortalità più elevata nelle femmine, attribuibile principalmente a una minore funzionalità polmonare, indipendentemente da fattori nutrizionali, infezioni o età alla diagnosi.
In realtà, nei pazienti con fibrosi cistica, molti fattori possono influenzare la progressione e la gravità della malattia polmonare e dell'insufficienza respiratoria:
- Differenti mutazioni del gene CFTR con variazioni nell’impatto sugli organi bersaglio;
- Aumentata viscosità delle secrezioni polmonari che facilita colonizzazioni batteriche e infiammazione, accelerando il declino respiratorio.
In particolare, il principale estrogeno, il 17-beta-estradiolo, riduce la secrezione di ioni cloro nelle cellule epiteliali, diminuendo il passaggio di liquidi nei dotti e alterando la funzionalità respiratoria. Studi recenti hanno mostrato come la funzionalità polmonare nelle donne con FC vari durante il ciclo mestruale, suggerendo un ruolo significativo degli estrogeni.
Un lavoro irlandese ha inoltre indicato che gli estrogeni favoriscono la presenza di una forma batterica più virulenta, associata a peggioramenti clinici; l’uso di contraccettivi orali, che riducono i livelli di estrogeni naturali, sembra invece abbassare la carica batterica.
Nei pazienti con FC, la riduzione dei liquidi aumenta la viscosità delle secrezioni bronchiali e la difficoltà di rimozione, favorendo riacutizzazioni infettive. Gli estrogeni sembrano inoltre aumentare mediatori infiammatori quali l’Interleuchina-23 e l’Interleuchina-17, contribuendo a danni polmonari irreversibili.
Negli anni 2000, studi epidemiologici hanno rilevato una progressiva riduzione del divario di sopravvivenza tra femmine e maschi, indicando che i fattori ormonali non sono l’unica spiegazione. Negli ultimi dieci anni, in alcuni centri, la differenza di sopravvivenza è stata ridotta a poco più di due anni.
L’introduzione dei modulatori della proteina CFTR (correttori e potenziatori) ha rivoluzionato il decorso clinico della malattia. Tuttavia, uno studio recente sull’efficacia di lumacaftor/ivacaftor (LUM/IVA) ha evidenziato un peggioramento della salute mentale, soprattutto nelle donne, con un aumento di ansia, depressione e ideazione suicidaria in circa il 24% delle pazienti femminili.
Dal 2021, l’introduzione della terapia combinata elexacaftor-tezacaftor-ivacaftor (ETI) per pazienti con almeno una mutazione F508del ha ulteriormente migliorato il trattamento della FC, con benefici a livello polmonare e sistemico.
Uno studio in fase di pubblicazione presso il nostro centro (“Gli effetti collaterali di ETI: le femmine sono maggiormente a rischio?”) ha rilevato che le donne presentano una maggiore incidenza di effetti collaterali neuro-psicologici rispetto agli uomini, tra cui insonnia (23% vs 6%), cefalea (41% vs 13%), disturbi di memoria e concentrazione (23% vs 10%) e confusione mentale (17% vs 4%).
E’ previsto inoltre l’estensione di ETI alle mutazioni rare non-F508del e verranno analizzati gli effetti nella sfera psicologica del farmaco unitamente al beneficio clinico.
Allo stato attuale non esistono evidenze di cause intrinseche biologiche che spieghino una compromissione maggiore nelle femmine rispetto ai maschi. Differenze sociali e di gestione potrebbero contribuire a questo fenomeno.
Con l’avanzamento delle terapie e la personalizzazione del trattamento, sarà possibile definire profili di malattia più precisi e ridurre le differenze di genere nel decorso clinico e nella qualità della vita dei pazienti.
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