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Leucemia mieloide acuta

Ha una probabilità di guarigione completa nel 40% dei casi e tra le terapie ci sono il trapianto e l'immunoterapia 

La Leucemia Acuta è una malattia a carattere rapidamente progressivo che coinvolge principalmente cellule non ancora completamente maturate o differenziate e che per tale motivo non possono assolvere alle loro normali funzioni.

La Leucemia Cronica invece, ha un andamento più lento e permette quindi la proliferazione di cellule a uno stadio maturativo più alto, consentendo così in parte le loro normali funzioni.

Le principali forme di leucemia sono divise in quattro categorie: mieloide e linfoide, e ognuna di queste in una forma acuta o cronica.

I termini mieloide e linfoide si riferiscono al tipo di cellula coinvolta nella leucemia. 
La possibilità, inoltre, di distinguere queste diverse categorie di leucemie e, all'interno di queste, di individuare alcuni sottotipi, ha permesso di conoscerne meglio la patogenesi e di definire i protocolli terapeutici più appropriati secondo il tipo di cellula coinvolta.

La cellula colpita nella Leucemia Mieloide Acuta è quella mieloide a uno stadio più o meno maturo, che, a seconda della sua differenziazione, può dare origine ai globuli bianchi (neutrofili, monociti, etc.), ai globuli rossi e alle piastrine.
La Leucemia Mieloide Acuta è un disordine dovuto alla presenza di alterazioni acquisite a carico del DNA delle cellule presenti nel midollo osseo.

Gli effetti di tali alterazioni molecolari si traducono:

  • In una proliferazione incontrollata e quindi nell'accumulo di cellule chiamate blasti leucemici (non in grado di ricoprire le loro normali funzioni);
  • Nel blocco della produzione delle normali cellule midollari, causando un deficit di globuli rossi (anemia), di piastrine (piastrinopenia) e dei normali globuli bianchi (neutropenia).

Nella grande maggioranza dei casi la causa della Leucemia Mieloide Acuta non è dimostrabile. Numerosi fattori sono stati associati a un rischio aumentato di malattia.

Tra questi sono inclusi l'esposizione ad alte dosi di radiazioni, l'esposizione al benzene (generalmente di tipo professionale), e infine l'esposizione a chemioterapici utilizzati nel trattamento di alcune neoplasie, come il carcinoma polmonare, ovarico o il linfoma.

La Leucemia Mieloide Acuta non è una malattia contagiosa né congenita.

Alcuni rari disordini genetici, però, come l'anemia di Fanconi, la sindrome di Down e altri, sono associati a una più alta incidenza di Leucemia Mieloide Acuta.

Delle leucemie pediatriche, circa il 15% sono di tipo mieloide, percentuale più alta nella popolazione più anziana. Il rischio, infatti, di tale malattia aumenta di circa dieci volte dai 30 ai 70 anni.

Nel gruppo della Leucemia Mieloide Acuta vari tipi cellulari possono essere coinvolti, così da poter distinguere in questa categoria otto differenti sottotipi:

  • M0, mieloblastica;
  • M1, mieloblastica, senza maturazione;
  • M2, mieloblastica, con maturazione;
  • M3, promielocitica;
  • M4, mielomonocitica;
  • M5, monocitica;
  • M6, eritroleucemia;
  • M7, megacariocitica.

Tale subclassificazione della malattia è importante non solo per una caratterizzazione morfologica, ma anche perché questa si è tradotta nell'utilizzo di differenti approcci terapeutici e comporta una differente prognosi.

Anche altre caratteristiche, come le anormalità cromosomiche, l'immunofenotipo, l'età, e le condizioni generali del paziente sono importanti nella guida alla scelta terapeutica.

Molti pazienti all'esordio della malattia riferiscono un peggioramento delle condizioni generali, un'astenia profonda, segni che possono essere messi in relazione con l'anemia.

Si possono inoltre manifestare molti sintomi legati alla riduzione del numero delle piastrine, come la comparsa di petecchie, ematomi spontanei e sanguinamenti prolungati. 

Altri sintomi che si possono presentare all'inizio sono la febbre, le infezioni ricorrenti, le alterazioni cutenee e i dolori ossei.

Per definire una diagnosi è necessario esaminare sia il sangue venoso periferico sia il sangue midollare.

Infatti già dall'analisi dello striscio di sangue periferico si può, ma non sempre, evidenziare, oltre alla riduzione del numero dei globuli rossi e delle piastrine, anche la presenza di blasti leucemici.

L'analisi del sangue periferico deve quindi essere confermato dall'analisi dello striscio di sangue midollare, che mostra in genere la sostituzione > 20% da parte di cellule leucemiche.

Allo studio morfologico si devono aggiungere tutta una serie di indagini, quali l'analisi citogenetica e molecolare, l'immunofenotipo e altri studi particolari.

Tutti i pazienti affetti da Leucemia Mieloide Acuta richiedono, una volta effettuata la diagnosi, l'inizio di un trattamento terapeutico il più tempestivamente possibile.

Lo scopo principale della terapia è quello di ottenere una remissione completa, la scomparsa, cioè, dei blasti leucemici sia dal sangue periferico sia dal midollo osseo, in modo da ricostituire la normale emopoiesi e quindi ritornare a una conta cellulare normale.

Sono richieste chemioterapie intensive per ottenere la remissione completa, che prevedono l'associazione di più farmaci.
I protocolli terapeutici in atto sono il risultato di studi e cooperazioni a livello internazionale, ecco perché è importante affidarsi per la cura di tali patologie a Centri accreditati e con una documentata esperienza nella cura delle Leucemie acute pediatriche e che dispongono di supporti polispecialistici, sempre pediatrici (Chirurgia, Nefrologia, Cardiologia, Rianimazione, etc.).

Per un adeguato approccio terapeutico spesso può essere richiesta l'inserzione di un catetere venoso, in modo da avere un accesso venoso stabile per poter eseguire la chemioterapia, la terapia trasfusionale e frequenti prelievi ematici per il monitoraggio degli esami ematochimici.

Se i globuli bianchi sono molto alti (> 100.000) può rendersi necessario un lavaggio del sangue (leucoaferesi) prima di iniziare la terapia.

La chemioterapia di induzione rappresenta la fase iniziale del trattamento specifico. Nella maggior parte dei casi un antraciclinico (ad es. Daunoblastina, Doxorubicina o Idarubicina) viene combinato con la Citosina Arabinoside.

Entrambi questi farmaci agiscono, in modo differente, impedendo la sintesi del DNA delle cellule leucemiche, bloccando così la loro proliferazione e determinando la loro morte.
Le Antracicline generalmente sono somministrate nei primi giorni di trattamento.

La Citosina Arabinoside viene ugualmente somministrata dal primo giorno di trattamento, ma per una durata maggiore.
Lo scopo della terapia di induzione è quello di eliminare le cellule leucemiche dal sangue periferico e dal midollo osseo.
Se i blasti persistono, può essere necessario un secondo ciclo di terapia, dove viene utilizzata sempre la stessa combinazione di farmaci.

La chemioterapia però, oltre a distruggere le cellule leucemiche, impedisce in una prima fase anche la proliferazione delle normali cellule, determinando così un aggravamento dell'anemia, della neutropenia e della piastrinopenia.

Ecco perché, spesso, è necessaria terapia trasfusionale con concentrati eritrocitari e piastrinici.
La neutropenia spinta espone tali pazienti a gravi complicanze infettive, sia da germi normalmente presenti sulla cute o a livello delle mucose o dell'intestino (batteri, funghi), che da agenti patogeni o trasmessi da altre persone.

Tali complicanze devono essere contrastate con terapia antibiotica e da un adeguato ambiente protetto.
Dopo alcune settimane la normale emopoiesi, e quindi la produzione di normali cellule, vengono ripristinate, non rendendo più necessarie né la terapia trasfusionale né la terapia antibiotica.

Si parla di remissione quando per la ripresa ematologica, si assiste alla graduale normalizzazione dei valori periferici e alla scomparsa delle cellule leucemiche dal midollo osseo. In questa condizione possono persistere ancora alcune cellule leucemiche inattive, che, pur non interferendo con la normale produzione di cellule ematiche, mantengono una potenziale aggressività e possono causare una recidiva di malattia. 

Per tale ragione si rende necessaria in alcuni casi una terapia addizionale o come infusione di cellule staminali autologhe o come trapianto di cellule staminali allogeniche.
Un'eccezione a questo programma terapeutico è rappresentato dalla Leucemia Promielocitica Acuta (LAP).

In questo sottotipo di Leucemia Mieloide Acuta le cellule che si accumulano a livello del midollo osseo, sono identificate come promielociti che sono in un grado maturativo più avanzato. 

Queste cellule sono inoltre caratterizzate da una specifica alterazione cromosomica riguardante il cromosoma 15, generalmente in combinazione con il cromosoma 17. In questo tipo di Leucemia Mieloide Acuta, le cellule leucemiche sono bloccate allo stadio maturativo di promielociti.

Un derivato della vitamina A, l'acido trans-retinoico (spesso abbreviato come ATRA), è previsto nello schema terapeutico, in quanto capace di portare a maturazione i promielociti leucemici.

Come l'acido retinoico, anche il Triossido di Arsenico può indurre la remissione completa, nella Leucemia Promielocitica Acuta; l'uso di tale farmaco è utilizzato però, in caso di recidive o di resistenza al trattamento convenzionale. Sono in corso studi per comprendere meglio, quale sia l'uso e la combinazione migliori di tali farmaci.

Dal momento che cellule leucemiche residue persistono comunque anche dopo la remissione, il trattamento ottimale delle Leucemia Mieloide Acuta prevede una terapia intensiva aggiuntiva.

Al momento attuale non c'è un consenso su quale sia il migliore approccio terapeutico, dal momento che anche alcuni fattori individuali quali l'età del paziente, la tollerabilità al trattamento, le alterazioni citogenetiche, la disponibilità di un donatore di cellule staminali, possono influenzare il programma di terapia.

Attualmente uno degli schemi più utilizzati, prevede l'uso della Citosina Arabinoside ad alte dosi, somministrata per via endovenosa subito dopo aver raggiunto la remissione.

Nei pazienti che non hanno un donatore familiare HLA (ovvero, antigene leucocitario umano) compatibile, la terapia può essere intensificata, somministrando una chemioterapia sovrammassimale e reinfondendo cellule staminali autologhe per permettere le ricostituzione della normale emopoiesi.

Le cellule staminali autologhe vengono raccolte dopo aver ottenuto la remissione completa e criopreservate, in modo da poterle utilizzare, una volta scongelate con particolari tecniche, al momento opportuno.
I pazienti con età compresa tra 1 e 50 anni, che sono in remissione completa e hanno un donatore compatibile, sono possibili candidati al trapianto allogenico.

La decisione di avviare il paziente alla procedura di trapianto dipende dalle caratteristiche della leucemia stessa, dall'età del paziente, e dal bilancio rischi-benefici.
Con l'eccezione di un sottotipo di Leucemia Mieloide Acuta, e cioè la leucemia monocitica, raramente tale malattia si presenta all'esordio con un coinvolgimento del sistema nervoso centrale, evenienza molto più frequente nella Leucemia Linfoide Acuta.

Quando tale coinvolgimente è presente, è necessario eseguire delle punture lombari terapeutiche.
Queste consistono nell'introduzione di un ago nel canale vertebrale, nell'estrazione del liquor in modo da analizzare la morfologia delle cellule (blasti e non) e nell'introduzione intratecale di chemioterapici quali la Citosina Arabinoside e il Methotrexate.
Raramente si può rendere necessaria la radioterapia per trattare delle localizzazioni extramidollari.

L'infiltrazione leucemica midollare e gli effetti della chemioterapia sono responsabili di una severa pancitopenia, determinando così una grave anemia, rischio di emorragie per la bassa conta piastrinica e un'aumentata suscettibilità alle infezioni.

Per tale motivo, prima di ottenere una remissione della malattia e quindi la ripresa di una normale emopoiesi, si rende necessaria una frequente terapia trasfusionale in emazie e in piastrine.

La febbre o i brividi possono essere i soli sintomi di infezione in un paziente neutropenico, o in altri casi la tosse persistente, il dolore alla palpazione in siti come la zona perianale o i seni facciali, la stranguria, la diarrea possono essere spia di una complicanza infettiva.

Per ridurre il rischio di infezione sono molto importanti l'ambiente protetto, la pulizia delle mani dei visitatori, il tipo di assistenza medica-infermieristica, e la gestione dei cateteri venosi quando presenti.

L'uso di fattori di crescita, quali il granulocyte-colony stimulating factor (G-CSF) o il granulocyte-macrophage colony stimulating factor (GM-CSF), possono ridurre il periodo di aplasia post-chemioterapia.
Gli effetti collaterali più importanti sono a carico di quei tessuti ad alta replicazione cellulare, quale la mucosa orale, intestinale, la pelle e i capelli.

Ciò spiega perché la mucosite, la diarrea e la perdita dei capelli sono tra gli effetti più frequenti dopo la chemioterapia.
Altri effetti spiacevoli della chemioterapia sono la nausea e il vomito, che possono però essere mitigati dall'utilizzo di farmaci anti-emetici.

Alcuni pazienti, anche dopo trattamenti chemioterapici intensivi, possono avere persistenza di cellule leucemiche nel midollo. Questa evenienza viene definita come leucemia refrattaria.

In altri casi invece, dopo aver ottenuto la remissione completa, si può avere un ritorno di cellule leucemiche nel midollo; in questi casi si parla di recidiva.

Nel caso di una leucemia refrattaria, si può tentare di indurre una remissione o utilizzando chemioterapici non usati nel primo ciclo di terapia o eseguendo un trapianto di cellule staminali. Nei pazienti che recidivano invece, nel tipo di decisione terapeutica bisogna tener conto della durata di remissione, dell'età, e delle alterazioni citogenetiche. 

In questi casi si possono utilizzare o gli stessi farmaci somministrati all'inizio, o chemioterapici differenti o, dopo aver indotto una nuova remissione, effettuare un trapianto di cellule staminali.

Oggi un nuovo tipo di terapia è rappresentato dagli anticorpi monoclonali, che legati ad agenti citotossici, sono capaci di colpire in maniera selettiva le cellule leucemiche. Questi agenti sono a volte utilizzati in associazione con altri chemioterapici in relazione al tipo di condizione clinica.

La diagnosi di leucemia determina nel paziente, nei familiari e negli amici una serie complessa di reazioni emotive. Depressione, sentimenti di sfiducia e paura sono reazioni comuni e frequenti.
I bambini anche se troppo giovani per comprendere completamente la natura e la gravità del loro problema, richiedono comunque aiuto e supporto da parte dei loro cari.

Molti sono i problemi che devono affrontare, quali l'impossibilità di frequentare la scuola, gli amici, di partecipare alle normali attività quotidiane, come lo sport.
Ecco perché uno dei modi per far accettare meglio la loro condizione e minimizzare gli effetti negativi sul loro equilibrio psichico, è quello di coinvolgerli, anche da ricoverati in attività eseguite nella vita quotidiana.

Altrettanto forti sono le reazioni emotive nei parenti dei piccoli pazienti, come la confusione, la rabbia e la paura. Le reazioni e anche i problemi economici che scaturiscono in seguito a tale diagnosi possono causare delle lacerazioni all'interno del nucleo familiare.

Anche i fratelli e le sorelle dei piccoli pazienti possono risentire della situazione venutasi a creare in seguito alla diagnosi di leucemia e avere così reazioni emozionali importanti da non sottovalutare.

In alcuni può emergere la paura di essere colpiti anche loro dalla malattia o avere sensi di colpa, pensando che qualcosa detto o fatto possa aver causato la malattia del loro fratello o sorella. Oppure sentirsi in colpa perché loro sono sani e invece il fratello malato, o soffrire perché i genitori hanno meno tempo da dedicare a loro rispetto a prima.

I familiari e chiunque è coinvolto nell'assistenza del paziente avranno sicuramente necessità di chiedere spiegazioni e chiarimenti sul programma chemioterapico o su possibili terapie alternative.
Ciò che è importante è esternare sempre in maniera diretta ogni dubbio al personale competente, in quanto sia infermieri sia medici per il tempo che spendono accanto ai pazienti e per le loro competenze professionali sono gli interlocutori più adatti a cui rivolgere ogni tipo di domanda.

Negli ultimi 30 anni la percentuale di pazienti con Leucemia Mieloide Acuta che ottiene e mantiene una remissione di malattia è aumentata significativamente. Nei bambini di età compresa tra i 2 e i 10 anni, le probabilità di guarigione completa sono circa del 40%. 

Le cellule leucemiche di alcuni pazienti non vengono facilmente uccise dai chemioterapici come quelle di altri pazienti. Questo può portare a una resistenza e quindi a un fallimento delle terapie.

Le ricerche si stanno muovendo sia nel senso di comprendere i meccanismi con i quali le cellule leucemiche si proteggono dagli effetti della chemioterapia, sia nel trovare farmaci alternativi che possano essere utilizzati in questi casi.

  • Oncogeni: la comprensione del danno al livello del DNA che determina la trasformazione di cellule normali in cellule leucemiche può aiutare anche nel trovare nuove terapie sempre più specifiche. In particolare, il tentativo è quello di scoprire chemioterapici che possano bloccare in maniera selettiva gli oncogeni o i trascritti proteici da loro prodotti;
  • Trapianto: Le cellule staminali da sangue periferico o da cordone ombelicale rappresentano una fonte alternativa al trapianto da familiare quando questo non risulti antigene leucocitario umano compatibile. Il fatto poi, di poter criopreservare queste cellule fa sì che possano essere immediatamente disponibili quando un paziente privo di familiare compatibile sia candidato al trapianto. In caso di mancanza di un donatore da registro un'altra chance trapiantologica è rappresentata dal trapianto aploidentico utilizzando uno dei due genitori. Il trapianto non è altro che una delle terapie delle leucemie: l'indicazione della necessità di un trapianto deve essere data dall'ematologo;
  • Trattamenti con nuovi farmaci: Molte ricerche sono in corso nel tentativo di trovare nuovi farmaci attivi in questa malattia, prima testati in laboratorio e poi provati nei pazienti, grazie al metodo dei trials clinici. Inoltre gli sforzi della ricerca sono anche rivolti nel valutare il miglior utilizzo dei farmaci già conosciuti;
  • Immunoterapia: Un altro nuovo campo di azione della ricerca è l'immunoterapia, con lo scopo di uccidere in modo mirato o prevenire la proliferazione delle cellule leucemiche. Potrebbero essere utilizzati infatti degli anticorpi monoclonali che hanno come bersaglio la cellula leucemica, che viene uccisa o per una risposta immunitaria mediata da tali anticorpi o perché questi veicolano delle sostanze tossiche. Un altro meccanismo può essere invece quello di far veicolare sostanze radioattive come alcuni isotopi quali lo iodio e il trizio (radioimmunoterapia);
  • Citochine: L'applicazione di queste sostanze, normalmente prodotte dal nostro organismo, ha lo scopo o di aiutare il ripristino della normale emopoiesi in corso di trattamenti chemioterapici e, di aumentare l'attacco del sistema immunitario nei confronti della cellula leucemica.

Con questa espressione si intende il tentativo di identificare, con sofisticate tecniche di biologia molecolare, cellule leucemiche residue, anche quando a livello del sangue periferico e del midollo osseo la malattia appare in remissione.

Questo approccio però può essere utilizzato quando la cellula leucemica possiede una anormalità molecolare (marcatore). Ciò permette un follow-up più sensibile dei pazienti in remissione e, di sapere precocemente se c'è necessità di terapie aggiuntive.

 

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  • A cura di: Valentina Coletti
    Unità Operativa di Oncoematologia
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 20  Gennaio 2017 


 
 

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