
L’Autismo o Disturbo dello Spettro Autistico è una condizione del neurosviluppo caratterizzata da difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sociale e dalla presenza di interessi e comportamenti ristretti e ripetitivi. Tali caratteristiche devono essere presenti sin dalle prime fasi dello sviluppo, anche se possono diventare più evidenti solo con l’aumento delle richieste sociali.
Le difficoltà iniziali possono manifestarsi nella reciprocità socio-emotiva, nella comprensione delle regole implicite della comunicazione o nell’uso dei comportamenti non verbali come lo sguardo, i gesti o le espressioni facciali.
Spesso le persone nello spettro trovano più complesso stabilire o mantenere relazioni sociali, non per mancanza di interesse, ma per differenze nel modo di percepire e interpretare le interazioni.
I comportamenti ripetitivi e interessi ristretti possono includere movimenti o linguaggio stereotipati, una forte preferenza per routine e prevedibilità, interessi molto intensi e specifici o una sensibilità atipica agli stimoli sensoriali.
Affinché si possa parlare di Disturbo dello Spettro Autistico, questi elementi devono comportare una compromissione significativa nel funzionamento quotidiano – scolastico, lavorativo, relazionale – e non essere spiegati meglio da altre condizioni. Si possono distinguere tre livelli di gravità in base alla richiesta di supporto (rispettivamente richiesta di supporto, richiesta di supporto sostanziale, richiesta di supporto molto sostanziale).
A oggi non si conoscono le cause esatte, anche se la ricerca ha compiuto progressi molto significativi. L’autismo viene definito come una condizione a eziologia multifattoriale: questo vuol dire che la sua insorgenza è il risultato di una combinazione di fattori genetici e ambientali.
Non esiste un singolo "gene dell'autismo"; si ritiene piuttosto che una serie di varianti genetiche possano contribuire all'insorgenza del disturbo. I dati di evidenza a oggi disponibili ci dicono che anche fattori ambientali possono giocare un ruolo, tra questi: l’età dei genitori al concepimento, le condizioni di salute materna durante la gravidanza, l’esposizione a sostanze inquinanti.
È importante sottolineare che nessuno di questi fattori, da solo, può essere considerato “la causa”, ma può contribuire ad aumentare la probabilità che la condizione si manifesti in bambini già predisposti.
Ogni persona nello spettro è unica.
L’espressione clinica è altamente eterogenea: in alcuni casi la condizione può essere associata alla presenza di difficoltà cognitive con una compromissione delle autonomie personali. In altri, invece, alcuni bambini possono presentare un funzionamento intellettivo nella norma, pur in presenza di difficoltà clinicamente significative nelle competenze sociali, comunicative e nella flessibilità comportamentale.
Segnali precoci possono manifestarsi già nei primi anni di vita (18-24 mesi), rappresentati dalla preferenza per interazioni selettive, ridotta partecipazione sociale, ridotto interesse per i pari, contatto visivo poco modulato, una gamma ristretta di gesti e di espressioni facciali. In altri casi, si possono osservare differenze nello sviluppo del linguaggio — che può emergere più tardi, evolversi in modo atipico o, talvolta, regredire dopo un iniziale progresso. Possono essere presenti anche comportamenti ripetitivi, un forte interesse per routine rassicuranti o una particolare attenzione a oggetti e attività specifiche.
Tuttavia, non esiste un unico modo in cui l’autismo si manifesta: in alcuni bambini i segnali sono evidenti e precoci, in altri possono emergere tardivamente, quando le richieste sociali diventano più complesse. Anche in adolescenza o in età adulta, la consapevolezza di poter rientrare all’interno dello spettro può arrivare in un secondo momento, soprattutto nei casi in cui le difficoltà siano state in parte mascherate da strategie di adattamento.
Lo spettro autistico non è una “scala di gravità” lineare, ma piuttosto una mappa multidimensionale, dove diversi aspetti possono variare sulla base del funzionamento dell’individuo: linguaggio, reciprocità e interazione sociale, funzionamento cognitivo, sensibilità sensoriale, interessi e comportamento adattivo. L’uso del termine spettro ha sostituito le vecchie etichette diagnostiche (“autismo infantile”, “sindrome di Asperger” o “disturbo pervasivo dello sviluppo”) proprio per mettere in evidenza che si tratta di una sola condizione con molteplici espressioni e non di categorie separate.
La diagnosi è clinica ed effettuata da un’equipe multidisciplinare costituita – nella maggior parte dei casi – da figure quali Neuropsichiatra Infantile, Psicologo e Logopedista.
La diagnosi si definisce clinica in quanto basata sull’osservazione del comportamento e sulla raccolta della storia di sviluppo. Non esistono – allo stato attuale – accertamenti di laboratorio o di imaging in grado di confermare la diagnosi. È dunque opportuno affidarsi a strutture sanitarie specializzate.
Tra gli strumenti più utilizzati in ambito internazionale troviamo l’ADOS-2 (Autism Diagnostic Observation Schedule - 2ª edizione).
L’ADOS-2 è un protocollo di osservazione che permette di valutare strategie di comunicazione e interazione sociale del bambino o dell’adulto in situazioni di gioco. Si tratta di un tipo di osservazione strutturata, che consente di osservare il comportamento della persona in situazioni appositamente create e secondo criteri standardizzati.
Tra gli altri test comunemente utilizzati si possono citare le CARS-2 (Childhood Autism Rating Scale, Second Edition), scala somministrata da un professionista esperto, che osserva il comportamento del bambino e raccoglie informazioni dai genitori o dai caregiver, e la CASD (Checklist for Autism Spectrum Disorder), un’intervista semistrutturata somministrata ai genitori.
È importante evidenziare che gli strumenti di valutazione non sostituiscono la valutazione clinica, ma la rafforzano, assicurando che la diagnosi si basi su criteri condivisi a livello internazionale (DSM-5-TR, ICD-11). Secondo le più recenti linee guida indicate dall’Istituto Superiore di Sanità, infatti, qualsiasi strumento strutturato per la diagnosi deve essere considerato come uno strumento di supporto e non conclusivo di per sé o sostitutivo dell’osservazione clinica e colloquio.
Le Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità raccomandano approcci personalizzati, precoci integrati e multidisciplinari.
Tra gli interventi con evidenza di efficacia si citano:
- Interventi comportamentali secondo metodologia ABA (Applied Behavioral Analysis) – aiutano a potenziare abilità comunicative e adattive, se usati in modo flessibile e rispettoso.
- Interventi secondo modelli naturalistici evolutivo-comportamentali (per esempio, Early Start Denver Model) – integrano gioco, relazione e apprendimento in contesti quotidiani ed enfatizzano l’apprendimento in ambienti naturali rispetto all’insegnamento in ambienti altamente strutturati.
- Interventi rivolti ai genitori (per esempio, la Terapia Mediata dai Genitori) – volti a fornire ai caregiver strategie efficaci per sostenere la comunicazione, la reciprocità e l’autonomia del bambino. La presa in carico del nucleo familiare da parte dei Servizi territoriali è indispensabile e può essere effettuata mediante interventi di sostegno, counseling e, laddove necessario, psicoterapia individuale o interventi di gruppo.
Nelle scuole invece l’attività dei i servizi dovrà prevedere la realizzazione di programmi centrati sull’apprendimento. È importante che il programma psicopedagogico si integri con gli obiettivi di lavoro degli interventi riproponendo in classe le funzioni sulle quali si sta lavorando.
Può essere utile adottare strategie d'interazione che si adeguino il più possibile alle difficoltà di interazione e di comunicazione. Tra queste:
- Trasformare gli interessi ripetitivi in occasioni di gioco condiviso: se il bambino ama ruotare una macchinina o allineare oggetti, si può entrare nel suo gioco, aggiungendo piccoli elementi sociali — ad esempio commentare, imitare o alternarsi — per favorire lo scambio e la reciprocità.
- Integrare routine prevedibili con momenti di flessibilità: le routine danno sicurezza, ma possono essere gradualmente ampliate o modificate introducendo piccole variazioni, in modo da aumentare la tolleranza al cambiamento.
- Rappresentare visibilmente il tempo e le attività: usare immagini, simboli o agende visive aiuta a comprendere cosa succederà e riduce l’ansia legata all’imprevedibilità.
- Favorire la comunicazione in tutte le forme: non solo parole, ma anche gesti, immagini, strumenti digitali o segni possono essere modalità valide per esprimersi. L’obiettivo è la comunicazione, non la sola parola.
- Offrire esperienze sensoriali regolanti (se gradite): momenti di movimento, contatto con l’acqua, musica o materiali piacevoli al tatto possono aiutare a gestire la stimolazione sensoriale e favorire una regolazione emotiva.
- Valorizzare anche i piccoli progressi: ogni passo verso una maggiore comunicazione, autonomia o flessibilità merita di essere riconosciuto e condiviso con entusiasmo.
Oggi è utile considerare la prospettiva di autismo come forma di neurodivergenza che implica una modalità diversa di essere e di percepire il mondo. Promuovere l’inclusione vuol dire creare spazi e relazioni in cui ogni persona possa esprimersi e partecipare secondo le proprie modalità.
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