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Dieta chetogena

Un dieta ad alto apporto di acidi grassi e basso contenuto di carboidrati, con un adeguato contenuto di proteine 

La dieta chetogena (DK) e una dieta ad alto apporto di acidi grassi e basso contenuto di carboidrati, con un adeguato contenuto di proteine.

Tale tipo di alimentazione, che determina una drastica riduzione dell’assunzione di carboidrati, determina un cambiamento del metabolismo mimando il digiuno, effettuando immediate modifiche nel metabolismo dei lipidi e degli acidi grassi.

I corpi chetonici prodotti, in particolar modo il β-idrossibutirrato, l’acetoacetato e l’acetone diventano i substrati principali per la produzione di energia da parte dell’organismo.

Tale processo, noto come chetosi, è generalmente accompagnato da acidosi metabolica. Inoltre, il cambiamento del substrato energetico principale determina una contemporanea modifica del microbiota, andando ad aumentare il rapporto Bacteroidetes:Firmicutes.

È possibile che l’introduzione di tale nuovo regime alimentare possa inizialmente determinare l’insorgenza di differenti effetti collaterali quali nausea, stipsi, astenia e raramente difficoltà nella respirazione.

Esistono diverse versioni di dieta chetogena in base al rapporto tra grassi, proteine e carboidrati. Il macronutriente che permette di differenziare le diverse varianti di diete chetogeniche è la quantità di lipidi, rispetto ai carboidrati:

  • La dieta chetogena classica (cKD), la prima dieta chetogena realizzata, è quella che presenta un rapporto grassi carboidrati più stretto (4:1);
  • La dieta chetogena medium chain triglyceride ketogenic diet tradizionale (tMCTKD) all’interno della quale è presenta l’introduzione degli acidi grassi a media catena (MCT);
  • La dieta chetogena medium chain triglyceride ketogenic diet modificata (mMCTKD);
  • La dieta chetogena Atkins diet modificata (MAD).

Nella creazione di una dieta chetogena personalizzata è necessario conoscere il livello di chetosi che si vuole raggiungere.

Tale livello prende il nome di “rapporto chetogenico” e rappresenta il rapporto tra i grammi di lipidi e la somma dei grammi di proteine e carboidrati.

Più è alto il rapporto chetogenico, che va da 4:1 a 1:1 maggiore sarà il livello di corpi chetonici circolanti.

Nel tempo, gli usi della dieta chetogena si sono ampliati, includendo anche nel bambino, non solo malattie epilettiche, ma anche schemi di trattamento dell’obesità e del diabete o, negli ultimi tempi, trattamenti coadiuvanti per l’obesità e per le malattie oncologiche.

Per quanto riguarda il trattamento delle epilessie, la dieta chetogena è riservata alle forme farmacoresistenti.

Nei pazienti affetti da epilessia, la dieta chetogena induce cambiamenti nel siero dei livelli di acidi grassi, corpi chetonici, glucosio e insulina aumentando i livelli circolanti di GABA (acido amino-butirrico), l’attivazione mitocondriale, la fosforilazione ossidativa e contemporaneamente riducendo l’eccitabilità e l’attivazione neuronale, con l’effetto finale di determinare una stabilizzazione neuronale e pertanto una riduzione dell’eccitabilità delle zone epilettogene.

La dieta chetogena fu introdotta per il trattamento delle epilessie farmacorestistenti in pediatria intorno al 1920, ma solo negli ultimi vent’anni l’utilizzo di tali diete è diventato parte integrante e centrale della terapia.

Molti dati, inoltre, sono presenti riguardo lo stato nutrizionale, di crescita e la salute ossea in questi pazienti, dove il monitoraggio frequente è necessario per mantenere un’ottimizzazione della dieta.

Se l’efficacia sulla frequenza delle crisi epilettiche è indiscutibile (riduzione di circa il 70% degli episodi dall’introduzione della dieta), gli effetti metabolici sulla crescita e sul metabolismo dell’osso sono più controversi.

Sembrano esserci dati di letteratura che mostrano una riduzione della densità minerale ossea e parallelamente un aumento del rischio di fratture, ma tali risultati non sembrano univocamente confermati.

Allo stesso modo dati discrepanti sono presenti riguardo la crescita lineare in altezza e peso di questi pazienti, ma i dati presenti si basano su follow-up brevi con un massimo di due anni.

Infine, per quanto riguarda i deficit di micronutrienti, e in particolare il deficit di selenio, responsabile di cardiomiopatia e allungamento del tratto ST, è necessario effettuare un monitoraggio dei livelli plasmatici, in quanto è possibile effettuare un’integrazione specifica.

Tra i micronutrienti da supplementare è stato anche suggerito l’inserimento di integratori contenenti carnitina.
Inoltre, specifica attenzione va posta al profilo lipidico di questi pazienti, in quanto ipercolesterolemie (in particolare un aumento del colesterolo LDL), ipertrigliceridemia e un aumento dei livelli di apolipoproteine B sono state riscontrate.

Ulteriori indicazioni al trattamento con dieta chetogena in pediatria sono attualmente limitate, seppur in costante aumento.

Una recente applicazione con buoni risultati clinici è come terapia di alcune malattie metaboliche quali il deficit del trasportatore di glucosio di tipo 1 (deficit di GLUT1), di alcune glicogenosi o del difetto di piruvato deidrogenasi (PHD).

In queste tre malattie, infatti, la dieta chetogena rappresenta una vera e propria cura per la malattia di base, mentre in altre malattie metaboliche può lenire la progressione di alcuni sintomi della malattia stessa, e in particolar modo delle crisi epilettiche.

Relativamente al trattamento dell’obesità in età pediatrica, pochi dati sono ancora disponibili. Dati recenti, pubblicati nel 2021, hanno mostrato risultati incoraggianti riguardo l’utilizzo di tale trattamento.

L’obesità infantile è legata principalmente a un consumo eccessivo di carboidrati e pertanto, l’introduzione di un regime dietetico con un rapporto fisso e stabilito di grassi e un ridottissimo apporto di carboidrati potrebbe portare a effetti visibili in tempi relativamente brevi.

Effetti metabolici, oltre alla riduzione del peso, sono una riduzione del livello dei trigliceridi, del colesterolo e della pressione arteriosa, con un aumento parallelo del colesterolo “buono” (Lipoproteine ad alta densità, HDL). Infine, la presenza dei chetoni circolanti e i suoi effetti metabolici descritti precedentemente regolano il senso di sazietà, inibendolo. 

Ultima applicazione della dieta chetogena è l’utilizzo di tale alimentazione come terapia adiuvante nelle patologie oncologiche. La dieta chetogena dovrebbe affamare le cellule neoplastiche, riducendone la loro capacità di utilizzare il glucosio, mentre le cellule normali sarebbero in grado di adattarsi e utilizzare i corpi chetonici come substrato energetico.

Altro beneficio della dieta chetogena potrebbe essere legato alla riduzione dell’insulina circolante, che determina secondariamente una riduzione del insulina-like factor responsabile della proliferazione delle cellule neoplastiche.

Alla luce di queste evidenze il ruolo assunto dalla dieta chetogena è di vera e propria farmaconutrizione, rappresentando un ruolo centrale nell’approccio terapeutico del paziente e, pertanto, dovrà essere personalizzata e modificata lungo tutto il percorso terapeutico in base ai fabbisogni del bambino e alle sue esigenze di crescita.

Un regolare accrescimento staturo-ponderale infatti, anche in questi soggetti in dieta chetogena, rappresenta il target da raggiungere come indice di buon controllo della malattia di base.

Come tutte le nutrizioni, la dieta chetogena può essere composta da alimenti naturali o da formule precostituite e può essere somministrata per via orale o tramite supporti di nutrizione artificiale (sondino nasogastrico, gastrostomia, digiunostomia).

 

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  • A cura di: Antonella Diamanti
    Unità Operativa di Epatogastroenterologia e Nutrizione
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 13  Gennaio 2023 


 
 

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