La sofferenza fisica, che pure rappresenta soltanto un sintomo di una malattia, determina necessariamente un'alterazione della qualità di vita del malato e può condizionarne la normale vita di relazione.
Tutto questo viene ovviamente amplificato quando il malato è un bambino che, talora, è incapace di esprimere, localizzare e quantificare la sua sofferenza.
Un bambino che soffre, che ha male, genera nella famiglia dei sentimenti di ansia, di angoscia, d'impotenza che determinano uno sconvolgimento dei normali rapporti domestici e uno stravolgimento della vita di tutte le persone in qualche modo a lui collegate.
La complessità della sofferenza del bambino affetto da tumore e l'estrema varietà e particolarità dei suoi bisogni, porta alla necessità di costituire una rete di soggetti e di strumenti necessari a contenere e soddisfare le necessità che di volta in volta si presentano all'attenzione dei sanitari.
L'efficacia e il successo del trattamento dipendono dalla collaborazione di tutti i sanitari e dalla partecipazione attenta e attiva di tutto l'ambiente familiare che circonda il piccolo malato.
Il dolore nocicettivo
Vale a dire proveniente dalle terminazioni nervose periferiche.
Può derivare da un trauma esterno (ustione, caduta, colpo) o interno (eruzione dentaria, frattura, ascesso, tumore); esso viene descritto come un dolore violento, improvviso, localizzato.
Il dolore neuropatico
È caratterizzato da sintomi indicati come bruciore, costrizione, formicolii. A questi sintomi di base si possono associare crisi parossistiche (manifestazioni accessionali più o meno violente).
Le cause del dolore neuropatico possono essere periferiche (lesioni successive a interventi chirurgici o da farmaci antiblastici), oppure midollari e sopramidollari (per infiltrazione tumorale del midollo spinale o dei nervi).
Il dolore acuto: genera una serie di segni emotivi. Il bambino che ancora non sa parlare, piange, urla, è inconsolabile e spesso esegue gesti ripetitivi che possono indicare la sede del dolore. Nel bambino più grande a questi elementi emotivi si associano segni diretti: il bambino mostra la sede del dolore ed è attento che non si tocchi la parte dolente.
Il dolore cronico: determina un cambiamento degli elementi emotivi; due o tre giorni di tempo sono spesso sufficienti a determinare la scomparsa dei segni emozionali. Il bambino che non sa parlare tende a diventare inoperoso, triste e mostra scarso interesse alla relazione.
Nel bambino più grande questi segni possono essere ugualmente presenti e confermati parlandone.
Il dolore ricorrente: è un dolore acuto, ripetitivo che richiede allo stesso tempo una terapia adeguata, un'attenta ricerca delle causa e il ricorso a terapie adiuvanti (ad es. i dolori addominali, le emicranie).
Nel bambino non è semplice riuscire a quantificare e localizzare il dolore. Esistono dei metodi di valutazione diversificati in rapporto all'età del malato:
- Nel bambino di età compresa tra 3 e 5 anni si può impiegare la scala delle espressioni facciali che consiste in una serie di disegni raffiguranti diverse espressioni facciali, che rappresentano le variazioni di gravità del dolore. Il bambino è chiamato a valutare il suo dolore scegliendo il disegno che rappresenta il livello della propria esperienza dolorosa;
- Nel bambino di età superiore ai 5 anni si possono impiegare la scala analogico-visiva (VAS): è una scala, generalmente della lunghezza di 10 centimetri alle cui estremità vengono poste le indicazioni "assenza di dolore" e "più forte dolore immaginabile", o la mappa del dolore vale a dire una figura umana su cui il malato indica con una matita la sede del dolore (Figura 1).
Figura 1 - Scala analogico-visiva (VAS)
Un'attenta valutazione del dolore non può ovviamente prescindere da un'attenta visita. È necessaria un'attenta valutazione della sensibilità superficiale (impiegando ad es. un oggetto di peluche) e profonda, con la palpazione delicata delle masse muscolari e delle ossa e la verifica della motilità e dei riflessi. L'esame termina con una valutazione psichiatrica completa.
In sintesi è importante che il medico entri in relazione con il malato e la famiglia, scelga le modalità più idonee di valutazione e determini oggettivamente il dolore, osservando, ascoltando, dialogando ed esaminando il malato.
Il dolore del malato oncologico può essere un'espressione diretta della malattia oppure può essere in rapporto ai trattamenti ad essa correlati. Non bisogna infatti dimenticare il dolore determinato dalle normali pratiche mediche, quali prelievi di sangue, terapie endovenose, procedure di microchirurgia cui spesso i malati vengono sottoposti (punture lombari, aspirati midollari, biopsie osteo-midollari), il dolore post-chirurgico, o il dolore derivante dalle stesse terapie antiblastiche (ad es. il dolore mandibolare o addominale indotto dalla vincristina).
Grazie all'impegno e alla collaborazione dei colleghi chirurghi ed anestesisti e al sostegno di terapie mediche innovative, questo tipo di dolore "indotto" è relativamente ben controllato.
Oggi il bambino può infatti beneficiare dell'uso di cateteri venosi centrali che limitano il ricorso alla puntura venosa ed eliminano il trauma e la paura di dover essere sottoposto a frequenti, traumatiche e spesso affannose e difficili ricerche di accessi venosi necessari per esami e terapie. La possibilità di avere a disposizione sedativi e anestetici sicuri ed agevoli in mani esperte, consente d'altra parte di eseguire pratiche dolorose in condizioni ottimali per il malato e per gli stessi operatori sanitari.
Se il problema del dolore determinato dalle cure è oggi abbastanza contenuto, ben diverso è il problema relativo al dolore come sintomo della malattia, che l'accompagna dal suo inizio lungo tutta la sua lunga storia anche nei casi, oltre il 60%, che giungono a guarigione.
Un ulteriore problema è costituito dal dolore che accompagna invece la malattia nelle sue fasi estreme, irreversibili, il cui trattamento rappresenta in quel momento l'unico scopo terapeutico del medico che deve comunque, nei limiti delle sue possibilità, garantire una qualità di vita dignitosa per il malato e per tutto l'ambiente che lo circonda.
Il trattamento farmacologico del dolore nel malato tumorale, adulto o bambino, non può prescindere dalle indicazioni fornite dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che indica tre livelli progressivi farmacologici nella terapia analgesica:
- Il I livello è costituito da analgesici non oppioidi (in particolare il Paracetamolo);
- Il II livello da oppioidi minori (ad es. Codeina, Tramadolo);
- Il III livello da oppioidi maggiori (Morfina e morfinosimili).
I farmaci non oppioidi (I livello) risultano nella pratica di valore limitato nel trattamento del dolore neoplastico, in quanto tutti hanno un livello basso di efficacia.
I farmaci oppiodi di II livello sono limitati al trattamento del dolore moderato. Essi sono gravati da quello che tecnicamente viene definito "effetto tetto" per cui, aumentando il dosaggio del farmaco oltre quello consigliato, si ottiene in realtà uno scarso miglioramento nel controllo del dolore, a prezzo di un aumento notevole della tossicità.
Il ricorso agli oppioidi maggiori e quindi alla morfina avviene in caso di fallimento dei farmaci di III° livello per il controllo del dolore moderato o grave.
La terapia del dolore si avvale inoltre dell'uso dei cosiddetti co-analgesici: psicotropi (neurolettici ed anticonvulsivanti), efficaci soprattutto nel dolore neuropatico ed adiuvanti. Tra i farmaci adiuvanti ricordiamo i cortisonici, che per i loro effetti analgesici e stimolanti trovano indicazione nelle infiammazioni acute, nelle sindromi neurologiche, i cosiddetti FANS (derivati dall'acido acetilsalicilico), efficaci nei dolori da metastasi ossee e gli antispastici impiegati nel dolore viscerale.
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