
Negli ultimi 20 anni, internet e i social media hanno radicalmente modificato il modo in cui le persone cercano informazioni sulla propria salute e sulla salute dei propri cari. Fino a un paio di decenni fa il proprio medico era l’unica fonte di notizie, scelte e indicazioni sulla salute. Oggi Google, Facebook, Twitter, Instagram, TikTok o anche ChatGPT possno essere spesso i primi luoghi dove la maggior parte delle persone cerca di orientarsi su problemi sanitari.
Con il crescere dell’interesse degli utenti, è cresciuta anche la quantità di contenuti in circolazione.
Questo tipo di contenuti ha subito un incremento ancora più intenso durante la pandemia da nuovo coronavirus. Talmente massiva è stata la circolazione di informazioni online dall’inizio della pandemia che, a Febbraio del 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ritenuto opportuno iniziare a considerare la gestione di queste informazioni come parte della strategia per migliorare la salute della popolazione.
È in questa occasione che è stato ufficializzato l’uso del termine infodemic - “infodemia” in italiano -, che è stata definita come la “sovrabbondanza di informazioni - alcune accurate, altre no - che rende difficile per le persone trovare fonti affidabili e indicazioni attendibili quando ne hanno bisogno”.
Dell’infodemia fanno parte dunque sia le informazioni attendibili sia le false notizie, che possono essere classificate, utilizzando dei termini anglosassoni:
- Disinformation, cioè le notizie false che vengono fatte circolare con finalità specifiche, spesso ingannevoli e di natura ideologica e politica;
- Misinformation, false notizie che vengono fatte circolare senza un’intenzione specifica.
È stato quindi riconosciuto che le false informazioni possono avere un impatto reale sulla salute della popolazione, e che dunque la lotta all’infodemia deve essere parte integrante della lotta contro la pandemia.
Le false informazioni possono condizionare diversi tipi di comportamenti, e, ad esempio, durante la pandemia possono aver spinto le persone a:
- Non usare le mascherine;
- Non rispettare il distanziamento sociale;
- Non fare un vaccino - o, più specificamente, di rifiutare il vaccino anti-coronavirus.
In questo modo, le false informazioni possono nutrire il fenomeno dell’esitazione vaccinale, che può provocare una riduzione della copertura vaccinale e, in ultima analisi, un peggioramento della salute della popolazione.
Come combattere l’infodemia in modo che la popolazione faccia le giuste scelte per la propria salute?
La gestione dell’infodemia si articola su diversi livelli:
- In vari paesi le istituzioni hanno avviato dei veri e propri programmi di monitoraggio del web, in altri paesi programmi simili sono condotti da società indipendenti, come ad esempio società di comunicazione oppure di fact checking;
- Le agenzie internazionali (come appunto l’OMS) hanno stretto accordi con i grandi social network per bloccare i post che riportavano false notizie sul coronavirus;
- Alcune agenzie di comunicazione hanno analizzato i bisogni informativi del pubblico ed elaborato campagne informative basate su questi dati;
- Alcuni paesi hanno anche convinto degli influencer a partecipare a campagne informative sul coronavirus e sul vaccino.
Ma la realtà è che tutti possono fare qualcosa per combattere l’infodemia. C’è infatti chi parla della cosiddetta teoria della inoculazione: diffondere informazioni corrette e basate sulle prove scientifiche.
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