La medicina di genere, area di ricerca consolidatasi negli USA a partire dagli anni '80, studia il modo in cui l'appartenenza al genere, maschile o femminile, condiziona lo sviluppo e l'impatto delle malattie e la risposta alla terapia. Possiamo dire che si tratta di una nuova dimensione, trasversale, della medicina, che valutando le differenze di genere nella fisiologia, fisiopatologia e clinica di molte malattie si prefigge l'obiettivo di giungere a decisioni terapeutiche basate sulle prove scientifiche sia nell'uomo sia nella donna.
Secondo i principi della medicina di genere gli uomini e le donne, in quanto organismi diversi, hanno anche diversa sensibilità nei confronti di certe malattie e, soprattutto, rispondono in maniera diversa a determinate terapie. Sembrerebbe una considerazione banale, ma fino ad oggi si è dedicata scarsa attenzione a queste problematiche. Basti pensare che nessun ‘bugiardino' dei farmaci prevede dosaggi diversi per individui di sesso maschile e femminile, mentre tutti sanno che, per esempio, determinate sostanze come l'alcool hanno maggiore impatto sul metabolismo femminile che su quello maschile (e non è solo un problema relativo al peso).
Si potrebbe riassumere il tutto dicendo, semplicemente, che uomini e donne non si ammalano nella stesso modo e non guariscono nello stesso modo, perciò non dovrebbero essere curati nello stesso modo.
Nel 1988 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un appello affinché le Società Internazionali dedicassero maggiore attenzione ai fattori di rischio che coinvolgono la salute della donna, con la finalità di prevenire tutte quelle patologie che affliggono in maniera sproporzionata le donne in età avanzata (malattia coronarica, osteoporosi, demenza ed altre ancora). Negli anni successivi ci si è cominciati a orientare, a vari livelli, verso lo studio di tutte le patologie maschili e femminili che, in maniera diversa e con caratteristiche proprie, colpiscono entrambi i sessi.
Già nel 2002 la Columbia University di New York organizzò un corso sulla medicina di genere mentre la sede europea dell'Organizzazione Mondiale della Sanità ha organizzato un ufficio che si occupa specificamente delle differenze di genere in tutte le tematiche della salute. Esiste una Società Internazionale per la Medicina di Genere e Società Nazionali in vari Stati (Svezia, Germania, Italia, Austria, Israele), che stanno lavorando attivamente per raggiungere risultati scientifici rilevanti per la salute delle donne, per la sua promozione e per la prevenzione delle malattie.
In Italia è da pochi anni attiva la Società Italiana per la Salute e la Medicina di Genere (SISMG) e dal 2008 è stato attivato, presso l'Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata', un Master in Medicina di Genere.
Dal 2019 il Ministero della Salute ha attivato un Piano per l'attivazione e la diffusione della Medicina di Genere, che si propone di fornire un indirizzo coordinato e sostenibile per la diffusione della Medicina di Genere mediante divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie che nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura tengano conto delle differenze derivanti dal genere.
I dati dimostrano che uomini e donne si ammalano in maniera diversa e che una stessa patologia può avere un impatto differente su di loro. Inoltre, rispetto agli uomini, le donne sono colpite con maggiore frequenza (da 1,5 a 1,7 volte) e in maggior misura dagli effetti collaterali delle terapie. Questo dipende da molti fattori, incluso il fatto che i farmaci sono poco studiati sulle donne, nonostante ne siano le maggiori consumatrici.
Le malattie cardiovascolari e il tumore al polmone sono solo alcune della patologie che un tempo colpivano maggiormente gli uomini e che oggi colpiscono sempre più donne. Le malattie cardiovascolari, in particolare, per quanto costituiscano in assoluto la prima causa di morte nei Paesi occidentali, presentano un trend d'incidenza in discesa per gli uomini e in costante salita per le donne. Si è scoperto che diabete e fumo di sigaretta sono i fattori di rischio più importanti nelle donne, laddove per gli uomini contano di più il colesterolo totale e l'ipertensione. Pertanto, la prevenzione al femminile dovrà necessariamente tener conto di queste sostanziali differenze ‘di genere' per quella che viene considerata la principale causa di morte.
Altre malattie, come quelle autoimmuni, la depressione, i disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia), l'emicrania, l'intestino irritabile colpiscono molto più frequentemente il sesso femminile. Ma per tutte queste patologie (e molte altre ancora) non è ancora chiaro quanto la diversa incidenza dipenda da fattori intrinseci alla biologia di genere e alla fisiopatologia delle malattie e quanto, invece, dipenda da fattori sociali o legati al sistema sanitario (programmi di screening, campagne d'informazione, facilità di accesso alle terapie).
Un altro grande capitolo della medicina di genere è lo studio del dolore: il dolore cronico, in Italia, interessa il 26% della popolazione, di cui il 56% è rappresentato da donne. Al di sotto dei 18 anni il fenomeno interessa il 19,5% dei ragazzi e ben il 30,4% delle ragazze. Oltre che dal punto di vista numerico il dolore assume anche caratteristiche diverse nei due generi: emicrania, cefalea muscolotensiva, artrite reumatoide, fibromialgia risultano patologie più frequenti nel sesso femminile, mentre la cefalea a grappolo è la forma di dolore cronico più diffusa tra gli uomini. Alcuni studi sperimentali sembrerebbero collegare questa diversa sensibilità al dolore a fattori ormonali, e infatti negli animali si può ottenere un innalzamento o un abbassamento della soglia del dolore con la somministrazione di estrogeni (ormoni femminili) o testosterone (ormone maschile).
Se poi si passa ad analizzare la risposta alle terapie mediche, sembra fondamentale (e fino ad oggi sottovalutata) la considerazione che i generi si distinguono, oltre che per fattori ormonali, anche per peso corporeo, distribuzione del grasso, produzione di enzimi da parte del fegato (in particolare CYP3A e glicoproteina P) e tempi di transito gastro-intestinale. Appare di immediata comprensione come tutte queste variabili siano in grado di influenzare in maniera spesso significativa i processi di assorbimento, metabolismo ed eliminazione dei farmaci.
E in campo pediatrico? Sappiamo che fin dalla vita fetale il genere maschile o femminile influenzano la possibilità di sviluppare anomalie diverse e, addirittura, il rischio di prematurità o di parto cesareo (entrambi più frequenti nel maschio). Nei primi anni di vita, poi, ritroviamo patologie che si distribuiscono in maniera diversa nei due sessi: maggior prevalenza di reflussi vescico-ureterali e persistenza del dotto arterioso nelle femmine, maggior prevalenza di trasposizione dei grossi vasi, di stenosi aortica, di stenosi pilorica e di ernia nel maschio, solo per fare degli esempi. E se le bambine sono più predisposte alle malattie auto-immuni (lupus eritematoso sistemico, tiroiditi) e presentano più frequentemente una pubertà precoce, i bambini sono colpiti con maggiore frequenza da autismo, deficit di ormone della crescita e sindrome nefrosica.
Le statistiche e i numeri, però, non ci spiegano ancora se la causa di tutte queste diversità risieda in fattori genetici, metabolici, ormonali, ambientali o altro ancora: sono tutte domande aperte alle quali la medicina di genere cerca di dare risposta. Negli ultimissimi anni anche la scienza di base si è concentrata sulla medicina di genere: la sempre più profonda conoscenza del genoma umano ha portato a chiedersi quale effetto possa avere il sesso biologico sull'espressione del patrimonio genetico che ogni individuo ha in sé, stabilendo un collegamento fondamentale tra scienza di base e clinica.
Negli ultimi sessanta anni il ruolo della donna nella società ha subito profondi cambiamenti, ma ciò ha purtroppo coinciso con un peggioramento delle sue condizioni di salute. Oltre alle patologie che classicamente e da sempre colpiscono con maggiore frequenza le donne (osteoporosi, allergie, diabete) sono aumentate quelle che un tempo venivano considerate tipiche del genere maschile, con il risultato che, pur avendo un'aspettativa di vita più lunga (la durata della vita media è di 84 anni per la donna e 79 per l'uomo nel nostro paese), la donna denuncia, secondo dati ISTAT del 2008, peggiori condizioni di salute rispetto all'uomo: l'8,3% delle donne percepisce il proprio stato di salute come cattivo, contro il 5,3% degli uomini. A conferma di ciò risulta che le donne sono anche le più accanite consumatrici di farmaci (20-30% in più, soprattutto in età compresa tra i 15 e i 54 anni), con conseguente maggiore esposizione alle reazioni avverse e agli effetti collaterali.
Dunque, occuparsi della medicina di genere oggi, e soprattutto cominciare a farlo anche in età pediatrica, vuol dire proporsi l'ambizioso obiettivo di ‘regalare' alle donne del futuro non solo una vita più lunga ma di migliore qualità, nel rispetto di un ruolo sociale che le vede ancora centrali nella gestione familiare ma anche sempre più coinvolte nei processi produttivi. Sembra perciò sempre più evidente che la ‘medicina di genere' non è una nuova o diversa disciplina medica, ma una nuova prospettiva dalla quale guardare alla medicina, creando legami più stretti tra le discipline esistenti. Ci si propone di allargare il concetto di medicina basata sull'evidenza al concetto di medicina basata sul genere, al fine di creare il ponte verso una medicina veramente moderna e personalizzata. In sintesi, non più una medicina di ‘taglia unica' ma ‘cucita addosso' al singolo paziente, in base a vari fattori fisici, sociali, economici, etnici e, ovviamente, di genere. La finalità ultima è giungere a diagnosi e trattamenti che siano individualizzati e tengano conto del patrimonio genetico e ambientale di ogni singolo paziente.
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