
Il linguaggio verbale non è l'unica forma di comunicazione del bambino. Non lo è nemmeno per l'adulto. La comunicazione, infatti, avviene attraverso differenti modalità: verbale, non verbale, intonazione, espressione facciale, contatto visivo, contatto fisico.
Ognuno di questi canali segue una sua traiettoria di sviluppo, a volte simultanea, altre volte parallela ma con tempi che possono essere molto diversi da bambino a bambino.
Il linguaggio verbale, per esempio, appare più tardi rispetto a quello visivo e a quello del corpo.
A un anno e mezzo il bambino riesce già a comprendere molte parole, a eseguire semplici richieste come "manda un bacio alla mamma".
È in grado di ascoltare filastrocche, anche se pronuncia solo poche parole (mamma, papà, pappa, ecc.). Può indicare le diverse parti del corpo o i disegni di un libro quando gli vengono nominati e può comunicare attraverso l'indicazione e lo sguardo.
A due anni, però, la maggior parte dei bambini è in grado di pronunciare, più o meno correttamente, 50 parole, e di comprenderne anche più del doppio, utilizzando contemporaneamente gesto e parola. A due anni e mezzo iniziano le prime combinazioni di parole ("pappa buona").
La prima cosa da fare è rispondere a queste sette domande:
1. È interessato a quello che gli accade intorno? Esplora lo spazio intorno a sé, si gira se sente una voce o un suono familiare o un rumore improvviso? Condivide dei giochi? Cerca gli altri bambini?
2. Risponde se lo chiamate? Si gira e vi guarda negli occhi? Risponde, anche senza girarsi?
3. Sembra comprendere quello che gli viene detto? Esegue semplici comandi come "vai a prendere la palla"? La risposta, anche se solo con i movimenti, è coerente con la vostra domanda?
4. Vi guarda negli occhi durante il gioco o quando gli parlate? Usa lo sguardo per "chiedere" la vostra attenzione o un oggetto?
5. Si aiuta coi gesti per farsi capire? Indica con il gesto per richiedere un oggetto o un'azione? Mostra o dà quello che ha in mano? Fa gesti di routine, come soffiare per "scotta", oppure mette l'indice sulla guancia per dire "buono" o fa capire che "è finito" con il gesto delle manine?
6. Gioca a “far finta”, per esempio di preparare il caffè usando una caffettiera e le tazzine o altri giochi simili?
7. Si diverte giocando con il genitore con semplici attività come nascondino o cavalluccio?
Se non sono presenti molti di questi comportamenti comunicativi bisognerà offrire al bambino (se non è stato già fatto) la possibilità di frequentare maggiormente i coetanei, come nelle ludoteche o meglio nell'asilo nido.
I bambini, infatti, imparano a parlare attraverso l'esperienza in ambienti in cui si parla, stimolati dai genitori, dagli altri bambini e da tutti coloro che li circondano.
Non hanno bisogno di particolari "esercizi" ma di "opportunità". Proviamo ad aumentare la frequenza e la qualità dell'informazione linguistica che offriamo al nostro bambino, semplicemente parlandogli di più, lentamente, guardandolo negli occhi e aspettando con pazienza la sua risposta.
Possiamo aiutarlo a rispondere leggendo un libricino, preparando una torta, sfidandolo in un gioco a tavolino.
Chiedere la ripetizione di una parola pronunciata male.
Incalzarlo, ripetendo immediatamente una domanda se non ci ha risposto.
Parlargli voltandogli la schiena o guardando il cellulare.
Dargli tablet o cellulari nella speranza - erronea - che lo stimolino a prestare attenzione, a capire e a parlare.
L'età di 3 anni costituisce una sorta di spartiacque tra i bambini che imparano a parlare lentamente e i bambini che probabilmente hanno un vero e proprio disturbo.
La comprensione del linguaggio dell'adulto, in ogni caso, rappresenta un elemento fondamentale: se il bambino capisce il linguaggio parlato dell'adulto (vedi sopra alle "sette domande") si possono tranquillamente aspettare i 3 anni e mezzo di età e magari l'inserimento nella scuola d'infanzia prima di richiedere una valutazione.
In caso contrario, è necessario rivolgersi immediatamente al pediatra per richiedere una valutazione più approfondita.
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