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Sindrome di Kabuki

Malattia rara, tra i sintomi vi sono lieve ritardo nello sviluppo, difficoltà di alimentazione e difficoltà di crescita 

La sindrome di Kabuki (dal nome del famoso teatro giapponese) è stata descritta nei primi anni '80 da due medici giapponesi, Niikawa e Kuroki, come l'associazione di ritardo nello sviluppo intellettivo, difficoltà nell'alimentazione con crescita pondero-staturale stentata, malformazioni congenite e caratteristiche facciali tipiche.

L'incidenza è stata calcolata intorno a 1:32.000, ma è probabile che sia sottostimata. Infatti, i test molecolari disponibili consentono attualmente di diagnosticare anche forme lievi, che in precedenza non venivano diagnosticate.

Nella maggior parte dei casi (circa l’80%), la sindrome di Kabuki è causata da alterazioni (mutazioni) del gene KMT2D che contiene le istruzioni per produrre un enzima in grado di controllare l'attività di geni implicati nello sviluppo dell'organismo.

Nel 3-5% dei casi, la sindrome di Kabuki è causata invece da alterazioni del gene KDM6A che contiene le informazioni necessarie per la sintesi di un altro enzima che anch'esso controlla geni dello sviluppo dell'organismo.

In una piccola percentuale di pazienti clinicamente inquadrati come sindrome di Kabuki sono state recentemente identificate mutazioni in altri geni più rari: RAP1A, RAP1B e il gene HNRNPK.

La patologia correlata a quest’ultimo gene, sovrapponibile alla sindrome di Kabuki per molte delle caratteristiche cliniche, viene ormai designata come sindrome di Au-Kline. In una restante percentuale (circa 15-20% dei casi) il meccanismo molecolare che ne è alla base non è ancora noto.

Quando la sindrome è causata da alterazioni del gene KMT2D, viene ereditata con modalità autosomico dominante. Ogni cellula del nostro corpo ha due copie di ogni gene, una copia sul cromosoma ereditato dalla madre e una copia sul cromosoma ereditato dal padre.

La sindrome di Kabuki si verifica quando è alterato (mutato) uno solo dei due geni KMT2D. Di conseguenza, un genitore che porta una copia mutata del gene KMT2D ha un rischio del 50%, a ogni concepimento, di avere un figlio con la sindrome di Kabuki.

Nella maggioranza dei casi, tuttavia, la mutazione non viene da uno dei genitori ma è de novo, il che significa che la mutazione è avvenuta durante la formazione della cellula uovo o dello spermatozoo o nelle primissime fasi di sviluppo embrionale.
La mutazione riguarderà quindi quel bambino soltanto e nessun altro membro della famiglia sarà affetto.

Quando la sindrome è causata da alterazioni del gene KDM6A, gene situato sul cromosoma X, l'ereditarietà è legata al cromosoma X. Secondo questo modello, la madre può essere portatrice della mutazione e avendo anche una copia normale del gene sull'altro cromosoma X, in genere è sana o in alcuni casi hanno delle manifestazioni più lievi rispetto ai maschi.

Nell’80% dei casi un maschio con la mutazione in KDM6A rappresenta l’unico caso in famiglia con la mutazione manifestatasi al momento del suo concepimento.

Se la madre risulta portatrice, a ogni gravidanza rischia il 50% di probabilità di trasmettere la variante patogenetica (che nel caso di un figlio di sesso maschile sarà sempre affetto, mentre le femmine potranno avere dei sintomi che in genere sono più lievi rispetto al quadro classico dei maschi).

Il ritardo di sviluppo è in genere lieve o moderato. Può essere presente epilessia. Spesso i bambini hanno difficoltà di crescita in peso e/o in statura.

Può essere presente una cardiopatia congenita come la coartazione aortica, la stenosi mitralica, stenosi valvolare aortica o aorta bicuspide. Possono essere diagnosticati anche difetto interatriale o difetto interventricolare. Sono frequenti anche malformazioni dell'apparato urinario.

In una piccola percentuale dei casi è diagnosticata una malformazione ano-rettale. Possono essere presenti anomalie dello scheletro, a carico della colonna vertebrale e delle estremità.

Le caratteristiche facciali dei pazienti comprendono una particolare conformazione degli occhi con sopracciglia ampie, arcuate e rade nel terzo laterale, rime palpebrali allungate ed eversione del terzo laterale della palpebra inferiore (rotazione verso l'esterno del bordo della palpebra inferiore), il naso piatto, eversione del labbro inferiore e padiglioni auricolari ampi ed anteversi o a coppa.

Una caratteristica spesso presente è la persistenza dei cuscinetti sui polpastrelli delle dita. Le caratteristiche facciali cambiano con il tempo, sono più facilmente riconoscibili nell’età compresa tra i 3 e i 12 anni.

Nell’infanzia le caratteristiche facciali potrebbero essere meno facilmente distinguibili e nell’adolescente ed età adulta l’eversione della palpebra inferiore potrebbe non essere più evidente.

La diagnosi clinica di sindrome di Kabuki può essere confermata con un esame molecolare specifico dei geni mediante l’analisi di un pannello multigenico, targeted Next-generation sequencing, NGS, con il sequenziamento diretto dei geni KMT2D e KDM6A, nonché degli altri geni implicati in una piccola percentuale di casi.

L’analisi mutazionale viene eseguita in genere su DNA genomico estratto da un prelievo di sangue periferico. Nel caso in cui l’analisi di sequenza abbia esito negativo, l’indagine è estesa alle delezioni dell’intero gene KMT2D e KDM6A che rappresentano circa il 20% e 1% circa dello spettro mutazionale, rispettivamente mediante tecnica MLPA, Multiplex Ligation-dependent Probe Amplification.

Quando l'ipotesi clinica di sindrome di Kabuki non è convincente, in quanto il paziente presenta caratteristiche fenotipiche atipiche, si procede con il sequenziamento dell’intero esoma, ossia dello studio delle regioni codificanti del DNA mediante “Esoma Clinico” o WES, Whole Exome Sequencing.

Nei pazienti affetti da sindrome di Kabuki è inoltre possibile delineare un profilo “epigenetico”, ossia l’identificazione dei profili dello stato di metilazione specifici della malattia.

Quest’ultima tecnica offre un’ulteriore opportunità in ambito diagnostico per quei geni che codificano per proteine che hanno un ruolo diretto o indiretto nel rimodellamento della cromatina, come nel caso del gene KMT2D. In Italia, questa tecnologia è utilizzata al momento con esclusiva finalità di ricerca in pochi centri.

Il profilo di metilazione del DNA (metiloma) è utile soprattutto nei pazienti con caratteristiche fenotipiche suggestive di una diagnosi di sindrome di Kabuki in cui le analisi molecolari sono negative o con le quali sono state riscontrate varianti a incerto significato a carico dei geni causativi della sindrome di Kabuki.

Il trattamento della sindrome è sintomatico. Per il ritardo nelle acquisizioni motorie è indicato un trattamento di fisioterapia e psicomotricità.
La logopedia viene praticata per il ritardo del linguaggio, specialmente nei pazienti che hanno anche anomalie del palato.

Nel tempo è possibile effettuare valutazioni neuropsicodiagnostiche con test cognitivi e trattamento cognitivo-comportamentale specifico. Se è presente epilessia può essere indicata terapia farmacologica.

I bambini piccoli possono avere difficoltà nell'alimentazione che necessitano di tecniche di nutrizione particolari, come l'alimentazione con sondino naso-gastrico.

Il trattamento delle malformazioni congenite è medico o chirurgico in base al tipo anatomico. Specialisti quali cardiologo, urologo, chirurgo maxillo-facciale e otorino sono spesso coinvolti nel follow up del bambino con sindrome di Kabuki.

La presa in carico viene impostata sui bisogni contingenti del singolo individuo e una serie di valutazioni sono raccomandate a seguito dell’inquadramento diagnostico con un programma di sorveglianza individualizzato sulla base dell’eventuale presenza delle potenziali problematiche associate.

Sindrome Kabuki: Codice RN0940
Sinonimi: Sindrome di Niikawa-Kuroki

Sindrome di Kabuki

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  • A cura di: Maria Cristina Digilio, Maria Lisa Dentici
    Unità Operativa di Genetica Medica
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 21  Febbraio 2023 


 
 

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