Tirosinemie

Malattie rare. Colpiscono anche i neonati e si differenziano in Tirosinemia tipo I, tipo II e tipo III 

Patologie dovute a difetto del metabolismo della tirosina. Si distinguono principalmente 3 tipi di tirosinemia:

  • Tirosinemia tipo I o epatorenale causata dal deficit di fumarilacetoacetato idrolasi;
  • Tirosinemia tipo II o oculocutanea causata dal deficit di tirosina aminotransferasi;
  • Tirosinemia tipo III causata dal deficit di 4-idrossifenilpiruvato diossigenasi.

La Tirosinemia tipo I ha un'incidenza di circa 1:120.000 nati vivi, particolarmente frequente in Canada, con una incidenza compresa fra 1:1.200 e 1:12.000. Data l'elevata incidenza, in Canada la malattia è sottoposta a screening neonatale di massa. In Italia è sottoposta a screening neonatale allargato nei centri nascita che afferiscono al Policlinico Umberto I.

Genetica
La trasmissione è di tipo autosomico recessivo. Il gene della fumarilacetoacetato idrolasi è localizzato sul cromosoma 15q23-25. Numerose mutazioni sono responsabili di malattia. La mutazione IVS12+5(g-a) è frequente nella popolazione franco-canadese, la mutazione IVS6-1(g-t) è frequente nell'area mediterranea. L'attività enzimatica della fumarilacetoacetato idrolasi può essere misurata su fibroblasti e linfociti. La diagnosi prenatale si attua mediante il dosaggio del succinilacetone nel liquido amniotico e della fumarilacetoacetato idrolasi su colture di amniociti o villi coriali.

Tirosinemie

Aspetti biochimici
Il deficit dell'enzima fumarilacetoacetato idrolasi determina l'accumulo di fumarilacetoacetato e maleilacetoacetato nel fegato e nel rene, e del succinilacetone a livello sistemico. Tali sostanze sono responsabili del danno epato-renale e della degenerazione neoplastica del fegato.

Manifestazioni cliniche
Sulla base delle modalità di esordio della malattia sono distinguibili tre forme di tirosinemia tipo I:

  • La forma acuta, che si manifesta entro i primi mesi di vita, con grave insufficienza epatica;
  • La forma subacuta, che si manifesta fra 6 mesi - 1 anno di vita, con epatopatia, epatosplenomegalia, coagulopatia, scarso accrescimento, rachitismo ipofosfatemico e ipotonia;
  • La forma cronica, a espressione soprattutto renale, che compare dopo il primo anno di vita, con epatopatia cronica, disfunzione nefrotubulare, rachitismo, cardiomiopatia e crisi neurologiche porfiria-like.

Nella forma acuta si osservano segni di severa insufficienza epatocellulare con ascite, ittero e diatesi emorragica associate a vomito, diarrea e ipoglicemia (da disfunzione epatica o da iperinsulinismo). Le alterazioni della coagulazione e della sintesi proteica epatica sono prevalenti rispetto ai segni di citolisi. L'alfafetoproteina è molto elevata. La sepsi è un evento frequente.
Se non prontamente diagnosticata e trattata precocemente la malattia è letale.
L'utilizzo dell'NTBC (Nitisinone) ha modificato la storia naturale della malattia aumentando notevolmente la sopravvivenza di questi pazienti. Tuttavia il 10% dei pazienti non risponde alla terapia: in tali casi si ricorre al trapianto fegato.

Nelle forme subacuta e cronica la sintomatologia è più subdola e si manifesta con epatopatia progressiva con cirrosi micromacronodulare spesso associata a disfunzione nefrotubulare di vario grado (sindrome di Fanconi completa o paziale, acidosi tubulare, perdita renale di elettroliti e acido urico, rachitismo ipofosfatemico, nefrocalcinosi) e più raramente riduzione della filtrazione glomerulare.

Le crisi acute neurologiche si possono manifestare ad ogni età.
L'uso del Nitisinone ne ha abolito la presentazione ma possono presentarsi in caso di interruzione della terapia, scatenate da infezioni minori. Sono dovute all'effetto inibitorio del succinilacetone sull'enzima 5-ALA-deidratasi che interviene nella biosintesi dell'eme. Le manifestazioni sono simili a quelle delle crisi porfiriche e sono caratterizzate da parestesie dolorose, dolori addominali, automutilazione, tachicardia, ileo paralitico, disturbi comportamentali, convulsioni, paralisi e insufficienza respiratoria. Nei casi favorevoli si assiste a una lenta fase di recupero.

Diagnosi
L'indagine di laboratorio che permette di porre diagnosi di tirosinemia di tipo I si basa sul riscontro del succinilacetone agli acidi organici urinari o su spot (sangue su cartoncino). Agli acidi organici urinari si riscontrano anche gli acidi 4-idrossifenilpirivico, 4-idrossifenillatico e 4-idrossifenilacetico, correlati al disturbo del metabolismo della tirosina e all'epatopatia. La determinazione degli aminoacidi plasmatici rivela livelli aumentati di tirosina e fenilalanina (dovuti all'inibizione degli enzimi tirosina aminotransferasi e  4-idrossifenilpiruvato diossigenasi da parte del succinilacetone), e metionina (in caso di epatopatia).

Lo studio della funzionalità epatica (transaminasi, protidosintesi, coagulazione, alfafetoproteina), renale e nefrotubulare (clearance della creatinina, emogasanalisi, elettroliti plasmatici e urinari, glucosio urinario, aminoacidogramma urinario, microalbuminuria, beta2microglobulina urinaria) permette di valutare le manifestazioni di malattia. 
Le indagini radiologiche addominali (ecografia, risonanza magnetica nucleare, tomografia computerizzato) mostrano un diffuso aumento di segnale a livello epatico con aree nodulari. La risonanza magnetica con diffusione offre notevole ausilio nella diagnosi differenziale dell'epatocarcinoma. La radiografia dello scheletro può rilevare i segni di rachitismo.
Le alterazioni anatomopatologiche mostrano a livello epatico un quadro di epatopatia che evolve in cirrosi di tipo misto, micro e macronodulare, e tende alla degenerazione verso il carcinoma epatocellulare.

Le alterazioni renali consistono in una disfunzione tubulare con glomerulosclerosi e fibrosi interstiziale. Può essere presente nefrocalcinosi.
Sono state inoltre descritte alterazioni cardiache, ipertrofia ventricolare sinistra e cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva.

Terapia
Il trattamento della tirosinemia tipo I si basa sull'utilizzo dell'NTBC (Nitisinone, ORFADIN) alla dose di 1mg/kg/die in 1-2 dosi giornaliere. La sua introduzione nel 1992 ha modificato in modo sostanziale la storia naturale della malattia. Le disfunzioni epatiche e renali si normalizzano in pochi giorni, il succinilacetone scompare in 48 ore.

L'alfafetoproteina si riduce fino a normalizzazione entro 1 anno dall'inizio della terapia. Il meccanismo d'azione del Nitisinone è legato all'inibizione dell'enzima 4-idrossifenilpiruvato diossigenasi. Il blocco del catabolismo della tirosina in una fase precoce del metabolismo intermedio impedisce la formazione dei metaboliti tossici. In sintesi, del Nitisinone trasforma la tirosinemia di tipo I in tirosinemia di tipo III, che tipicamente non presenta alterazioni epatiche e renali.
Nello stesso tempo provoca un aumento notevole di tirosina e fenilalanina plasmatiche che possono causare danni oculari, cutanei e neurologici (per alterazioni dei neurotrasmettitori cerebrali). Pertanto occorre associare una dieta ipoproteica a basso contenuto di tirosina e fenilalanina, in modo tale da mantenere il livelli plasmatici di tirosina <400 mcmol/L e di fenilalanina <360 mcmol/L, secondo le più recenti raccomandazioni. In caso di ipofenilalaninemia iatrogena è richiesta la supplementazione con fenilalanina.

L'inizio della terapia con Nitisinone entro i 2 anni di età determina una riduzione sostanziale del rischio di sviluppare epatocarcinoma. Il rischio di degenerazione neoplastica è inversamente proporzionale all'età di inizio della terapia. Se il trattamento viene iniziato dopo i 2 anni di età il rischio è pari a quello dei soggetti non trattati.
Le attuali indicazioni al trapianto di fegato includono:

  • Insufficienza epatica acuta non responsiva alla terapia con Nitisinone;
  • Malattia epatica cronica progressiva;
  • Elevazione dei livelli di alfafetoproteina;
  • Nodulo epatico sospetto.

Gravidanza
Sono noti 3 casi di donne con tirosinemia tipo I e gravidanza in trattamento con Nitisinone: non sono stati rilevati effetti teratogeni.

La tirosinemia tipo II o oculocutanea o sindrome di Richner-Hanhart è caratterizzata da cheratosi palmo-plantare ed erosioni corneali con fotofobia, e ritardo mentale. 

Genetica
La trasmissione è di tipo autosomico recessivo. Il gene dell'enzima tirosina aminotransferasi è localizzato sul cromosoma 16q22.1-q22.3.

Aspetti biochimici
La malattia determinata dal deficit di tirosina aminotransferasi che trasforma la tirosina in acido 4-idrossifenilpiruvico. Nei pazienti non trattati il livello della tirosina plasmatica è molto elevato (>1200 mcmol/L), nelle urine e si osserva un aumento della escrezione di acido 4-idrossifenilpiruvico, 4-idrossifenillattico e 4-idrossifenilacetico.

Manifestazioni cliniche e diagnostiche
I sintomi oculari, che in genere compaiono nel primo anno di vita, sono rappresentati da ulcerazioni corneali bilaterali dolorose con fotofobia e iperemia congiuntivale.
Si osservano episodi di esacerbazione e remissione correlabili alle fluttuazioni dei livelli della tirosina. 
La patogenesi della distrofia corneale è dovuta alla cristallizzazione della tirosina che provoca distruzione dell'epitelio corneale e conseguente infiammazione. A livello congiuntivale si osserva assottigliamento epiteliale con paracheratosi e accumulo di grandi corpi inclusi. Il tessuto subepiteliale appare infiltrato di plasmacellule e neovascolarizzato. Nello stroma corneale sono presenti cristalli birifrangenti di tirosina.
Le complicanze a lungo termine sono rappresentate da opacità corneale, diminuzione dell' acuità visiva, cornea plana, astigmatismo, ambliopia e glaucoma.

I sintomi cutanei compaiono più tardivamente e sono rappresentati da placche ipercheratosiche palmo-plantari, molto dolorose, non pruriginose, con pigmentazione normale. Alla microscopia ottica si osserva ipercheratosi, acantosi e paracheratosi.
A differenza delle lesioni oculari, nella cute non sono presenti cristalli di tirosina. I sintomi neurologici sono presenti nel 60% dei pazienti e sono caratterizzati da ritardo mentale, microcefalia, convulsioni, automutilazioni e disturbi del comportamento.

Diagnosi
La diagnosi si basa sul caratteristico quadro clinico oculo-cutaneo in presenza di ipertirosinemia ed aumento dei suoi metaboliti urinari. La funzionalità epatica e renale è normale.

Terapia
ll trattamento della tirosinemia tipo 2 consiste in una dieta a basso contenuto di fenilalanina e tirosina. Le manifestazioni cliniche non si presentano se il livello di tirosina plasmatica è  <800 mcmol/L tuttavia, poiché l'ipertirosinemia potrebbe essere conivolta nella patogenesi delle manifestazioni neurologiche, si raccomanda di mantenere i livelli di tirosina <400 mcmol/L.

La tirosinemia tipo III è dovuta al deficit dell'enzima 4-idrossifenilpiruvato diossigenasi. La malattia è stata descritta in 13 casi sporadici che presentavano manifestazioni neurologiche in assenza di sintomi epatorenali e cutanei. Il quadro clinico è caratterizzato da ritardo cognitivo, atassia, iperreflessia, tremori, microcefalia e convulsioni.

Genetica
La trasmissione è di tipo autosomico recessivo.Il gene della idrossifenilpiruvato diossigenasi si localizza sul cromosoma 12q24-qter.

Diagnosi
Elevazione dei livelli plasmatici della tirosina (300-1300 mcmol/L), aumento dell'escrezione urinari degli acidi  4-idrossifenilpiruvico, 4-idrossifenillattico e 4-idrossifenilacetico.

Terapia
Dieta a basso contenuto di tirosina e fenilalanina. Si raccomanda di mantenere i livelli di tirosina <400 mcmol/L.

Tirosinemia: RCG040 

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  • A cura di: Carlo Dionisi Vici
    Unità Operativa di Patologia Metabolica
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 25 aprile 2021


 
 

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