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Epatoblastoma

Tumore del fegato più comune in età pediatrica. Nuovi schemi di chemioterapia, uniti all'asportazione del tumore, hanno molto migliorato la prognosi 

L’epatoblastoma  è un tumore embrionale che origina dai precursori degli epatociti, le cellule che vanno a formare il fegato.  

L’epatoblastoma è il tumore del fegato più comune in età pediatrica ed è in genere diagnosticato durante i primi 3 anni di vita.

Ha un’incidenza di 1.2 – 1.5 casi/milione di bambini/anno che è andata crescendo nel corso di questi ultimi anni. L’età media alla diagnosi varia da 12 a 21 mesi.

Le cause sono a tutt’oggi sconosciute. È stato osservato che la prematurità e il basso peso neonatale sono associati a un aumentato rischio di comparsa tardiva dell’epatoblastoma. Si ritiene quindi che l’aumento di incidenza di tale tumore possa essere in relazione proprio all’aumento dei nati prematuri.

Il meccanismo esatto non è conosciuto, ma si ritiene possano giocare un ruolo fondamentale l’ossigenoterapia, vari farmaci necessari ai nati prematuri per superare in culla le settimane che avrebbero dovuto trascorrere nell’utero materno, la nutrizione parenterale totale (nutrizione somministrata per via venosa) e la necessità di numerose radiografie.

Nella maggior parte dei casi, il tumore è sporadico ma in molti casi può essere associato ad anomalie genetiche costituzionali, malformazioni e sindromi tumorali familiari (sindrome di Beckwith-Wiedemann, adenomatosi poliposa familiare).

Anche i bambini che hanno contratto l’epatite B nelle primissime età della vita e quelli che sono nati con atresia delle vie biliari (un blocco dei condotti che portano la bile dal fegato all’intestino) hanno un maggior rischio di andare incontro ad epatoblastoma. 

La malattia si manifesta in genere con un addome globoso, disteso, dolorabile alla palpazione. La massa tumorale si trova a livello del fegato e, raramente, può andare incontro a rottura con emorragia all’interno dell’addome. Anche l’ittero è un sintomo raro. 

La diagnosi viene sospettata sulla base dei sintomi, degli esami di laboratorio e degli esami di radiologia. Tra gli esami laboratorio, l’afafetoproteina sierica (AFP) è il test di laboratorio più importante per la diagnosi perché è aumentata nel 90% dei casi. Gli esami di funzionalità epatica sono nella norma.

Gli esami di radiologia utili per fare la diagnosi sono:

Quest’ultima fornisce maggiori informazioni sulle caratteristiche e dimensioni della massa, sull’estensione del tumore all’interno e all’esterno del fegato, ed è anche di importanza fondamentale per individuare eventuali metastasi polmonari.    

  • Risonanza Magnetica è utilizzata per definire al meglio le caratteristiche e l’estensione del tumore;
  • Alfa feto-proteina sierica (AFP) è il test di laboratorio più importante per la diagnosi di epatoblastoma, che è aumentata in più del 90% dei casi. 

Gli esami menzionati sono fondamentali per una corretta e precisa definizione dell’estensione di malattia (stadiazione). 

Il sistema utilizzato è il sistema PRETEXT (PRE-Treatment EXTent of disease) che si basa sulle caratteristiche del tumore alla diagnostica per immagini.

Questo sistema permette di identificare quattro gruppi di malattia (PRETEXT I-II-III-IV) che caratterizzano due gruppi di rischio definiti come: rischio standard e alto rischio

Oltre all’estensione della malattia all’interno dell’organo, partecipano alla caratterizzazione della categoria di rischio anche: il coinvolgimento dei vasi  (la vena cava, le vene sovraepatiche, i rami della vena porta), l’estensione del tumore al di fuori del fegato, la presenza di metastasi polmonari, la rottura tumorale e l’estensione della malattia a focolai multipli. 

Il trattamento dell’epatoblastoma si basa sull’utilizzo di due farmaci fondamentali: 

  • Il cisplatino;
  • La doxorubicina;

La cui combinazione ha permesso di innalzare al 70-80% la percentuale di sopravvivenza dei bambini affetti da epatoblastoma.

L’asportazione del tumore è un momento cruciale nel piano di cura. In Europa viene tradizionalmente favorito un approccio conservativo con l’asportazione del tumore dopo il trattamento chemioterapico, contemplando però anche il trapianto d’organo qualora la resezione della neoplasia non fosse possibile.

In Italia, il trattamento dell’epatoblastoma ha seguito fino ad ora la filosofia del gruppo SIOPEL (Società Internazionale di Oncologia Pediatrica – Epithelial Liver Tumor) che richiede una chemioterapia preoperatoria e un intervento differito. 

I farmaci utilizzati nel trattamento dell’epatoblastoma non sono esenti da importanti effetti tossici a breve e a lungo termine:

  • Il cisplatino è un chemioterapico tossico per l’orecchio che impatta sulla funzione uditiva e quindi sulla qualità di vita del bambino;
  • La doxorubicina è tossica per il cuore e può essere responsabile dello sviluppo di una seconda neoplasia come la leucemia

Di conseguenza, i maggiori gruppi di lavoro europei SIOPEL, americani-COG (Children’s Oncology Group) e giapponesi-JPLT (Japanese Study Group for Paediatric Tumours) hanno elaborato un nuovo protocollo di cura di questa neoplasia il Paediatric Hepatic International Tumour Trial – PHITT.  

Il nuovo protocollo internazionale di trattamento (Paediatric Hepatic International Tumour Trial – PHITT) prevede la stratificazione dei pazienti in 4 gruppi di rischio con l’obbiettivo di ridurre il trattamento chemioterapico fino ad ometterlo per i gruppi di basso rischio ed innalzare la percentuale di guarigione dei pazienti ad alto rischio grazie ad una più raffinata caratterizzazione della malattia.


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  • A cura di: Aurora Castellano
    Unità Operativa di Oncoematologia
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 11  Aprile 2023 


 
 

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