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L'influenza della Medicina narrativa sul percorso di cura

Il racconto della malattia è funzionale alla realizzazione di strategie terapeutiche personalizzate ed efficaci. L'intervista a Cristiana De Ranieri

La Medicina basata sulle evidenze, ovvero quella che formula diagnosi a partire dai
sintomi che il paziente manifesta, non tiene conto di tutti quegli aspetti emotivi che caratterizzano la persona ed influiscono, più o meno direttamente, sullo stato della persona in cura. Proprio per colmare questa "lacuna" si è sviluppata la Medicina narrativa una metodologia d'intervento clinico-assistenziale che, attraverso il racconto della malattia fatta dal paziente, ha come fine la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato ed efficace. Dell'importanza di questa pratica abbiamo parlato con Cristiana De Ranieri, psicologa clinica dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù.

Dottoressa De Ranieri, a cosa serve il racconto della malattia su cui si basa la medicina narrativa?
La malattia può essere interpretata come una sorta di "rottura biografica", un vero e proprio punto di frattura nella trama esistenziale di una persona e della sua famiglia. La narrazione (in forma orale, scritta, grafica, ludica) può offrire uno strumento prezioso al malato per "risignificare" questa esperienza traumatica e aiutarlo a ricostruire la sua identità. Raccontarsi aiuta a "rimettere in moto" le funzioni della mente, favorisce una riflessione e condivisione dei significati che la malattia ha per la persona. Se la mente aiuta il corpo a curarsi, si riduce il rischio che la malattia  generi  un disturbo emotivo e relazionale e che quest'ultimo ostacoli la strada verso la guarigione.

Il racconto della malattia influenza anche le decisioni di chi ha in cura il paziente?
Questo atto narrativo, dalle preziose potenzialità terapeutiche, richiede che non ci sia solo un soggetto che racconta la malattia, ma anche un altro che la ascolta: il medico, lo psicologo, gli operatori impegnati nel percorso di cura. In assenza di una narrazione da parte del malato, lo staff curante non ha elementi per affrontare le componenti essenziali, legate appunto al vissuto e alla soggettività del paziente, e costruire, di conseguenza, un'efficace relazione. Quest'ultima è indispensabile per realizzare un'alleanza terapeutica vera, che favorisca la collaborazione, riducendo la non aderenza al percorso di cura.  

Ovviamente la narrazione della malattia varia anche a seconda dell'età della persona in cura. Come cambia l'approccio sulla base delle diverse capacità del paziente di raccontare quello che sta vivendo?
Nel lavoro con i bambini più piccoli , sotto i 4/5 anni, il principale  strumento espressivo è rappresentato dal disegno. Anche l'utilizzo del gioco simbolico è una pratica ormai consolidata, poiché permette di dare voce ad emozioni, paure, fantasie che i bimbi più piccoli riescono difficilmente ad esprimere parole. Nel bambino più grande e nell'adolescente si favorisce la narrazione vera e propria dell'esperienza di malattia, con lo scopo di aiutare il paziente a rimettere insieme "i suoi pezzi", le parti di quel sé che la malattia ha spesso frammentato.




 
 

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