Malattie rare. Storia di Federico: «La mia vita è salva grazie a un'intuizione. E alla ricerca»

Novembre è il mese della sensibilizzazione sulla RTD, patologia neurodegenerativa rara gravemente invalidante

L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, e in particolare l’intuizione della diagnosi “rarissima” del dottor Enrico Bertini, mi salvarono la vita quando avevo solo 11 anni.

Il corso della patologia rara da cui sono affetto, la RTD (difetto del trasportatore della riboflavina), può avere inizio in qualsiasi momento, dalla nascita fino ai 30 anni di età. Nel mio caso, per fortuna, la malattia è insorta in modo pieno solo a cavallo tra l’infanzia e l’adolescenza, quando avevo 11-12 anni. Già prima avevo avvertito alcuni lievi sintomi, come la paresi facciale e qualche problema di deglutizione e di equilibrio nella camminata, che tuttavia non mi avevano causato grossi disagi e che, anzi, erano quasi del tutto scomparsi a seguito del trattamento con immunoglobulina.

Il periodo cruciale arrivò all’età di 11 anni, nel 2010, quando la malattia raggiunse il suo stato più avanzato. Iniziai a notare una certa perdita di agilità: quando giocavo a calcio con gli altri bambini non riuscivo più a essere abile come lo ero prima, anche se, ovviamente, insistevo a riprovare, con l’ingenuità tipica dei bambini. Non riuscivo a spiegarmi una cosa del genere, e nella mia mente si insinuava l’idea che forse avessi bisogno di un po’ più di allenamento. I miei genitori, preoccupati, mi iscrissero a un centro di fisioterapia.

Le mie condizioni peggiorarono sempre di più: con il passare del tempo, avevo quasi perso la capacità di camminare in maniera autonoma e avevo serie difficoltà a deglutire, da cui, inevitabilmente, scaturivano problemi di alimentazione. La situazione divenne sempre più insostenibile, finché dovetti andare in ospedale perché andai incontro ad “ab ingestis” (cibo di traverso) a causa delle difficoltà di deglutizione, con tutte le conseguenze del caso.

In seguito fui trasferito all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, dove passai momenti molto drammatici. La mia vita era a rischio perché i medici faticavano a comprendere quale potesse essere la mia diagnosi. La situazione era già di per sé tesa, ma a dare il colpo di grazia fu una crisi respiratoria che mi costò due mesi in rianimazione, la ventilazione artificiale e la tracheostomia.

Tuttavia, la storia ebbe un buon esito finale. Qualche mese prima che le mie condizioni degenerassero era stato pubblicato quello che può essere considerato il primo vero e proprio studio sulla RTD, in cui si parlava degli effetti positivi del trattamento con riboflavina. Di qui ebbe origine la fondamentale intuizione di un medico, esperto di malattie neuromuscolari, che associò la mia condizione a quella di un potenziale caso di RTD, dando inizio proprio al trattamento con riboflavina. Da quel momento in poi iniziarono i miglioramenti; successivamente, la diagnosi di RTD venne confermata tramite test genetico.

Grazie alla terapia, le mie condizioni migliorarono al punto che non ebbi più bisogno della ventilazione artificiale e il mio stato fisico mi consentì di affrontare un breve periodo di riabilitazione, al termine del quale ricevetti il via libera per tornare a casa. Tuttavia, nonostante i grandi progressi iniziali, il mio stato clinico si è stabilizzato su livelli accettabili ma non sufficienti. Bisogna considerare che, nonostante la risposta favorevole alla riboflavina, nella stragrande maggioranza degli individui con RTD (me compreso) questa terapia non rappresenta una vera e propria cura. Il trattamento con riboflavina è in grado di stabilizzare o rallentare la progressione della malattia, ma da solo non è sufficiente, e quindi vi è straordinario bisogno di aprire la strada ad altre strategie terapeutiche più efficaci.




 
 

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