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Papa Francesco, aiutami!

Era nel pullman per andare a scuola. La guerra l'ha colpito alle gambe. Da Bangui a Roma, la storia di Christy, vittima della violenza e dell'intolleranza religiosa

Lui è Christy. Ha 13 anni.
E' un bambino, come tanti. 

Vive in una casa in centro con la nonna e con il papà. 

Il 4 novembre 2015 Christy si trova, come tutte le mattine, sul pullman che lo porta a scuola. Zaino in spalla, merenda in mano. In testa la lezione su cui la maestra lo interrogherà.
Alcuni soldati armati irrompono sul mezzo e iniziano a sparare con le mitragliatrici sui passeggeri. Tra di loro, tanti bambini. 
Una raffica di colpi raggiunge Christy alle gambe. Christy cade, tra corpi di uomini, donne, bambini. I suoi compagni di viaggio. Qualcuno è ferito.
Capisce che per sopravvivere - non mi sente più le gambe, ce le ho ancora? Dove sono i miei amici? C'è qualcuno?- deve fingersi morto anche lui.

Chiude gli occhi, e aspetta.

Aspetta che il rumore delle mitragliate si faccia più lontano. Poi solleva una mano, un braccio, cerca qualcuno che possa portarlo via da quell'incubo.
Una donna lo prende con sé, lo porta all'ospedale di Bangui. Devono ricoverarlo, è gravemente ferito Riporta fratture esposte alle gambe, con lesioni nervose e vascolari.

In quell'ospedale del Centrafrica, che quella mattina del 4 novembre lo accoglie, Christy rimane per un anno. I medici gli curano le gravi infezioni alle gambe e le fratture esposte del femore destro e della tibia sinistra.
Ma il problema di Christy è più serio: dal giorno del pullman il bambino ha smesso di camminare. E lì, a Bangui, non hanno mezzi e risorse da offrirgli per guarirlo.
Ma quell'ospedale ha in serbo qualcosa di molto prezioso, per Christy. Un'opportunità. Gli si presenta un giorno, quando consegna una lettera a un amico di Papa Francesco, in occasione della visita del Pontefice all'ospedale pediatrico della capitale della Repubblica Centrafricana.

In quella lettera c'era scritto: "Aiutami".

Quell'aiuto arriva, grazie ai progetti di solidarietà internazionale del Bambino Gesù, con i quali l'Ospedale accoglie bambini in condizioni disagiate o affetti da patologie molto complesse che richiedono prestazioni specialistiche di alta qualificazione. La richiesta di Christy si trasforma in un'accoglienza gratuita.
Quando arriva in Italia, a Palidoro, nel dicembre del 2016, Christy è sulla carrozzina. Presenta una grave deformità alle gambe e un accorciamento del femore destro. Una parte della tibia sinistra è assente. Inoltre è affetto da una gravissima osteoporosi da non uso delle gambe, e una paralisi totale dello sciatico destro. Le sue gambe presentano delle cicatrici profonde.
Viene sottoposto a un complesso intervento di correzione delle deformità, grazie al quale riacquisisce un'anatomia corretta e una solidità strutturale, con l'aiuto di una moderna tecnica di allungamento mediante un chiodo endomidollare magnetico.
Nel frattempo, con tanta forza di volontà, comincia la fase di riabilitazione.
L'amore e la pazienza dei terapisti e dei medici neuroriabilitatori di Palidoro e Santa Marinella, unite alla grande voglia di questo piccolo uomo di andare avanti, e ricominciare, permettono a Christy di rimettersi in piedi. Prima con l'aiuto delle stampelle poi, piano piano, senza assistenza, inizia a muovere i suoi "secondi" primi passi.

Non parla dell'incidente. Se ne parlo, poi non riesco a dormire. Ma ha ricominciato a frequentare le lezioni scolastiche. Le maestre della scuola in ospedale organizzano corsi individuali prima, e collettivi dopo, insieme ad altri bambini della sua età. Impara l'italiano, si affeziona a qualche compagno di avventura. Si sente a casa.
In ospedale riceve anche il sacramento dell'eucarestia. Avrebbe dovuto riceverlo a casa sua, in Africa. Ma le cose sono andate diversamente da come avrebbero dovuto.
Così, il personale dell'Ospedale organizza per lui una grande festa. La cerimonia, i regali, il rinfresco.

Nel suo cuore, un sogno. Crescere, per difendersi e per difendere la sua gente, soprattutto i bambini.
E una paura. Quegli spari, quei rumori che a volte, nel silenzio della notte, lo svegliano ancora. Ed è difficile dormire tutta la notte, perché all'improvviso quell'immagine si affaccia vivida nella sua memoria. E si ritrova dentro quel pullman, pronto per andare a scuola. Zaino in spalla, merenda in mano. In testa la lezione su cui la maestra lo interrogherà.
Vorrebbe fermarsi qui, Christy, in Italia. Non vuole tornare in Africa. Ha paura della guerra. Eppure, dice, la mia famiglia è lì. E io ho bisogno di loro.

Mi mancherete, amici miei. Mi mancherete tanto. Lo dice piangendo, quando lascia l'Ospedale. Commosso, mentre abbraccia tutti quelli che gli hanno voluto bene. Medici, terapisti, infermieri, volontari. Le maestre della scuola, il parroco, l'educatrice della ludoteca. Lo dice tra una lacrima – come farò senza di voi? - camminando da solo, sostenuto dallla nonna, che in questo anno e mezzo non l'ha mai lasciato solo.
E un sorriso - gli africani cucinano molto meglio di voi!

Buon rientro a casa, Christy.
Un bambino, come tanti. Ma con una forza straordinaria.

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