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Dislessia, 5 cose da sapere

In occasione della Settimana nazionale dedicata a questo disturbo, le risposte della dottoressa Deny Menghini, Psicologa dell'Unità operativa di Neuropsichiatria Infantile, alle domande più frequenti sull'argomento

Che cos'è la dislessia?

È un disturbo dello sviluppo di origine neurobiologica che compromette più o meno severamente la lettura. I bambini e le bambine con dislessia compiono molti errori di lettura e sono più lenti rispetto ai compagni della classe. Le difficoltà nella correttezza e nella velocità di lettura diventano un vero e proprio problema quando condizionano la comprensione del testo, lo studio in autonomia e il rendimento scolastico. La dislessia si può diagnosticare al termine del secondo anno della scuola primaria, ma gli indici di rischio possono essere individuati fin dalla scuola dell'infanzia, in modo da intervenire precocemente. Il problema permane nel tempo, sebbene si manifesti in modo diverso a seconda dell'età e in base alle richieste del contesto ambientale.

Quali sono i sintomi che possono far pensare che un bambino abbia la dislessia?

Generalmente chi sviluppa un disturbo di lettura nelle prime fasi di apprendimento svolge con uno sforzo eccessivo le attività di letto-scrittura, spesso fatica nell'individuare i suoni che compongono le parole saltando alcune lettere quando scrive e non riesce a fondere i suoni per leggere. Anche la grafia può essere particolarmente difficoltosa. Sicuramente l'insegnamento secondo il metodo globale e dei quattro caratteri per la scrittura aggravano il quadro in chi ha difficoltà. Spesso compare presto un atteggiamento di rifiuto delle attività di letto-scrittura e dopo una breve fase iniziale di entusiasmo si osserva una disaffezione per la scuola in chi ha difficoltà di apprendimento. Non di rado emergono reazioni emotive importanti di natura ansiosa, con addirittura casi di malessere fisico, come mal di pancia e mal di testa prima o durante lo svolgimento delle lezioni. Ciò che deve allarmare un genitore è che nonostante le comuni attività didattiche, l'esecuzione dei compiti a casa e gli sforzi impiegati, il bambino o la bambina non sembra migliorare e i risultati raggiunti rimangono scadenti.

A chi bisogna rivolgersi per avere una diagnosi?

Quando il genitore sospetta un disturbo di lettura, scrittura o calcolo, spesso anche su segnalazione degli insegnanti, è bene rivolgersi al pediatra per ricevere indicazioni sulla opportunità del percorso da intraprendere. Per ricevere una diagnosi è necessario comunque rivolgersi alla ASL di appartenenza dove un équipe multidisciplinare formata dal Neuropsichiatra Infantile, dallo Psicologo e dal Logopedista con esperienza sui Disturbi Specifici di Apprendimento svolge la valutazione clinica che porta all'eventuale diagnosi. Attualmente in Italia la legislazione regionale varia notevolmente e solo in alcune regioni è possibile che i professionisti privati effettuino una diagnosi valida per la scuola. In linea generale, è importante che la diagnosi venga effettuata da personale specialistico con esperienza clinica, che osservi e attesti anche i frequenti aspetti emotivi e comportamentali associati, come il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, l'Ansia, la Depressione. Il Bambino Gesù, come Centro di Terzo Livello, si occupa dei bambini con una situazione complessa, cioè quando al DSA si associano disturbi emotivi o comportamentali. Qualora nel corso di una visita neuropsichiatrica o di un colloquio psicologico emergesse un sospetto di dislessia, in assenza di altre complicazioni, si rimanda il caso alle Asl territoriali, a cui, perlomeno nel Lazio, spetta la certificazione dei bambini con DSA.

Quali interventi riabilitativi o trattamenti sono indicati?

Sebbene siano numerose le ricerche condotte per verificare l'efficacia degli interventi sui Disturbi Specifici di Apprendimento, purtroppo ad oggi non abbiamo ancora raggiunto risultati sufficienti per redigere delle linee guida su quale sia il trattamento più efficace. In Italia sono comunque disponibili alcune raccomandazioni cliniche sui Disturbi Specifici di Apprendimento (si veda il Documento d'intesa del 2011 elaborato da parte del Panel di Aggiornamento e Revisione della Consensus Conference sui Distrurbi specifici dell'apprendimento, cioè il PARCC DSA) che sottolineano come gli interventi debbano essere "volti a favorire l'acquisizione, il normale sviluppo e l'utilizzo funzionale dei contenuti di apprendimento scolastico". Va sottolineato che l'esercizio e la ripetizione non determinano generalmente un miglioramento nelle abilità di letto-scrittura e di calcolo.

Cosa può fare un genitore per aiutare un bambino con dislessia? Qual è il comportamento giusto da tenere?

Le difficoltà nell'apprendimento non vanno mai interpretate come svogliatezza, scarso impegno o pigrizia e sicuramente svolgere una valutazione con degli specialisti rassicura i genitori e i bambini. Punire, sgridare e mortificare il bambino sottolineando le sue difficoltà non aiuta certo a favorire gli apprendimenti. Per non creare situazioni di conflitto, che possono danneggiare il rapporto e il clima familiare, spesso non è opportuno svolgere i compiti con i figli che manifestano difficoltà. Nell'esecuzione dei compiti il bambino dovrebbe invece essere affiancato da persone competenti e specializzate sui Disturbi Specifici di Apprendimento come i tutor compiti che forniscano strategie nello studio e supportino i bambini nell'utilizzo sempre più autonomo degli strumenti compensativi previsti per i bambini con diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento. I genitori dovrebbero invece supportare emotivamente il bambino, sottolineando il più possibile le sue aree di forza, evitando di focalizzare la loro attenzione sulla prestazione e sui risultati scolastici. Al bambino andrebbe frequentemente sottolineato che, sebbene con strategie diverse, può raggiungere comunque gli obiettivi della classe.

 

Risposte a cura della Dottoressa Deny Menghini, Psicologa dell'Unità operativa di Neuropsichiatria Infantile

 



 
 

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