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Trapianti di cuore, come si previene il rigetto senza ricorrere ai farmaci

Dalla fotoferesi alla plasmaferesi (fondamentale per trattare i pazienti iperimmuni), l'esperienza del Bambino Gesù in questo ambito. L'intervista a Francesco Parisi, responsabile dell'Unità operativa di Trapiantologia toracica ed Ipertensione polmonare

Prevenire il rigetto di un cuore trapiantato senza indebolire l'azione del sistema immunitario contro gli agenti patogeni. È questa in estrema sintesi il risultato che si raggiunge con la fotoferesi, una tecnica di immunomodulazione usata in pochi centri italiani che si occupano di trapianti. Il Bambino Gesù è stato fra le primissime realtà del nostro paese a introdurla, circa 18 anni fa. Insieme alla plasmaferesi e all'immunoassorbimento, rappresentano strumenti che permettono la gestione di pazienti particolarmente complessi (in cui ad esempio le terapie farmacologiche non sono sufficienti o non sono applicabili), per i quali in passato non si poteva ricorrere al trapianto di cuore o di polmoni. Di queste tecniche abbiamo parlato con il dottor Francesco Parisi, responsabile dell'Unità di funzione di Trapiantologia toracica ed Ipertensione polmonare.

Dottor Parisi, partiamo dalla fotoferesi. Di cosa si tratta nello specifico?

È una procedura che svolgiamo nel centro di aferesi nel Servizio trasfusionale. Serve a manipolare il sistema immunitario senza farmaci. Nello specifico con la fotoferesi si estraggono dei linfociti dal sangue del paziente che vengono irradiati con raggi Uva e reinfusi. Questo rende il sistema immunitario più "tollerante" verso l'organo trapiantato impedendone il rigetto. Nel dettaglio, la fotoferesi induce una situazione di tolleranza immunitaria, cioè riduce la reattività del sistema immunitario verso l'organo trapiantato, senza però influire sulla sua capacità di resistere alle infezioni. In pratica, si ottiene l'aumento di una popolazione di cellule recentemente chiamate cellule T regolatorie (Treg). Le Treg si trovano ad una frequenza molto bassa in tutti gli individui normali e impediscono all'organismo di 'attaccare' i suoi componenti normali. Alcuni studi hanno dimostrato la loro importanza nella modulazione del rigetto di trapianto d'organo, ma anche nel mantenimento della gravidanza, una situazione nella quale il feto rappresenta il tessuto estraneo, diverso (per il 50%) geneticamente dalla madre. Al contrario degli immunosoppressori, che indeboliscono il sistema immunitario anche contro le infezioni, le Treg non influenzano la difesa contro i germi patogeni, permettendo all'organismo di continuare a reagire contro batteri e virus.

Per quale motivo si usa questa tecnica?

Perché le terapie farmacologiche a lungo andare possono andare a gravare sull'organismo. Quindi, considerato che ci occupiamo di pazienti pediatrici, che hanno una prospettiva di vita molto lunga (ne seguiamo alcuni da oltre trenta anni), la fotoferesi per alcuni trapiantati è una tecnica fondamentale per la gestione del rischio rigetto. Inoltre alcuni pazienti le terapie farmacologiche potrebbero non essere sufficientemente efficaci, anche per loro procedimenti come la fotoferesi costituiscono un trattamento necessario. La possibilità di eseguire sia la fotoferesi che la plasmaferesi, che è un'altra procedura che realizziamo nel Servizio trasfusionale dell'ospedale, ha attirato anche pazienti trapiantati in altre strutture, che nel corso degli anni si sono rivolti a noi per il follow up post trapianti.

Quando si ricorre alla plasmaferesi?

La plasmaferesi è una procedura importantissima per permettere di effettuare il trapianto su coloro che altrimenti non potrebbero sottoporsi a questo intervento. Occupandoci di molti cardiopatici congeniti noi abbiamo diversi pazienti cosiddetti iperimmuni. Sono pazienti che hanno già la presenza di anticorpi tissutali in circolo contro un pool importante di potenziali donatori. La plasmaferesi permette di rimuovere questi anticorpi. Per scoprire se un paziente è iperimmune si fa l'analisi del Pra (Panel reactive antibody) nel sangue periferico. Noi testiamo una parte del sangue del paziente, il siero, contro i linfociti di un pool di donatori. Se il siero sanguigno del potenziale ricevente distrugge questi linfociti siamo di fronte a un paziente iperimmune. Questi una volta non erano considerati trapiantabili, l'organo trapiantato infatti sarebbe stato attaccato dagli anticorpi già presenti causando il rigetto acuto nel giro di poche ore. Il rigetto "standard", cosiddetto cellulomediato, invece, avviene fra la prima settimana e i primi 15 giorni successivi al trapianto (il sangue passa nell'organo trapiantato, il sistema immunitario lo riconosce come estraneo e inizia a produrre anticorpi che lo attaccano). In questo caso si ha il tempo di intervenire con una terapia immunosoppressiva che contenga il rigetto. Nel caso degli iperimmuni, invece, manca il tempo per intervenire. In questi casi quindi, appena abbiamo l'organo, prima di fare il trapianto, sottoponiamo i pazienti alla plasmaferesi. Questa procedura la ripetiamo alcune volte anche nei primi giorni immediatamente dopo il trapianto. In pratica si tratta di una procedura di "lavaggio del plasma" che permette di rimuovere quegli anticorpi che causerebbero il rigetto acuto. 

È sufficiente ricorrere alla plasmafesresi per evitare il rigetto acuto nei pazienti iperimmuni?

Dopo il trapianto, periodicamente, si ricorre periodicamente anche all'immunoassorbimento. È una tecnica attraverso la quale filtriamo il sangue del paziente togliendo gli anticorpi contro l'organo donato, fino a ridurne la produzione da parte del sistema immunitario. Inoltre, se necessario, possiamo anche ricorrere agli anticorpi immunoclonali che uccidono i linfociti B (quelli che producono gli anticorpi). Grazie a queste soluzioni riusciamo ad evitare il rigetto dell'organo in pazienti iperimmuni che da circa 10 anni a questa a parte al Bambino Gesù (salvo ovviamente casi particolari) non vengono più esclusi dalla possibilità di ricevere un trapianto d'organo. 

Da che cosa dipende la presenza di questi anticorpi nei pazienti iperimmuni? 

Da tutta una serie di fattori immunizzanti. Ad esempio nei cardiopatici congeniti, uno di questi fattori è l'essersi sottoposto ad altri interventi chirurgici prima del trapianto, che hanno reso necessarie trasfusioni di sangue che facilitano questo meccanismo. Inoltre negli interventi di correzione delle cardiopatie a volte vengono utilizzati homograft, come ad esempio valvole proveniente da un donatore, oppure un cuore artificiale. Anche questi facilitano la produzione di questi anticorpi. Per le donne, inoltre, un fattore può essere un parto in cui si è verificata una commistione fra il loro sangue e quello del neonato.




 
 

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