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Labiopalatoschisi: dalle cellule staminali nuove prospettive di cura

In Italia colpisce 600 nuovi nati all'anno, un quinto dei quali seguiti al Bambino Gesù. Sabato 24 l'Open Day organizzato dall'Associazione BA.BI.S presso la sede di San Paolo

Labiopalatoschisi. Letteralmente labbro e palato divisi. Più comunemente nota come labbro leporino, si tratta di una malformazione congenita che si presenta con un'interruzione che coinvolge (in combinazione o singolarmente) il labbro superiore, la gengiva e il palato. Il Bambino Gesù sta mettendo a punto l’utilizzo delle cellule staminali per la ricostruzione ingegnerizzata del palato. Ogni anno in Italia nascono circa 600 bambini con labiopalatoschisi, un quinto dei quali seguiti dall’Ospedale della Santa Sede. Sabato 24 giugno presso la sede di San Paolo Fuori le Mura dell’Ospedale si è tenuto l’Open Day organizzato dall'Associazione BA.BI.S e a cui hanno partecipato numerose famiglie.

LA LABIOPALATOSCHISI                             

La labiopalatoschisi è la più comune anomalia congenita del cranio e del volto: in Europa ne soffre 1 bambino su 700. È caratterizzata da una comunicazione diretta tra naso e bocca. Nella maggior parte dei casi la labiopalatoschisi è monolaterale (destra o sinistra) e in un terzo dei casi è bilaterale. Le cause del labbro leporino sono sconosciute. Si ritiene che siano multifattoriali, ovvero che sia riconducibile a una combinazione di fattori genetici e ambientali. 

In caso di labiopalatoschisi completa, il protocollo chirurgico del Bambino Gesù prevede un unico intervento chirurgico all’età di 6 mesi in cui si ricostruiscono il labbro, il naso, il palato anteriore (duro) e il palato posteriore (molle). Ogni anno al Bambino Gesù vengono presi in cura circa 120 nuovi casi e altrettanti giovani pazienti che hanno iniziato il trattamento in altri ospedali. Si tratta della più ampia casistica nazionale. Il 64% dei nuovi casi proviene da fuori regione. Attualmente sono seguiti in follow-up oltre 2.000 bambini e ragazzi colpiti dalla malformazione. 

IL PALATO INGEGNERIZZATO

I ricercatori dell’Ospedale stanno mettendo a punto l’utilizzo di cellule staminali autologhe (cioè del paziente) per la ricostruzione del palato duro. Attualmente l’intervento ricostruttivo viene effettuato utilizzando un innesto di periostio tibiale prelevato chirurgicamente dalla tibia del paziente. Con la nuova tecnica invece il palato duro verrebbe creato facendo crescere le cellule staminali del paziente su un apposito supporto (scaffold). Una volta creato il palato, verrebbe quindi impiantato. 

I vantaggi della nuova tecnica sono molteplici. Innanzitutto si eviterebbe di prelevare il tessuto necessario alla ricostruzione del palato da un'altra parte del corpo. Il palato così creato sarebbe poi perfettamente compatibile, cioè con un impatto nullo dal punto di vista immunogenico. La sperimentazione ha già superato la fase in vitro e si sta attualmente lavorando per la fase successiva. I risultati della sperimentazione in vitro sono stati pubblicati dalla rivista scientifica Scientific Reports.

L’OPEN DAY E IL RAPPORTO CON LE FAMIGLIE

Nella labiopalatoschisi l'impatto estetico-funzionale e psicologico è forte, il percorso terapeutico è molto impegnativo, dura 18-20 anni e, nelle situazioni più complesse, è caratterizzato da una lunga serie di interventi chirurgici. Per questo motivo è importante che le famiglie e i pazienti siano sostenuti e accompagnati dalla diagnosi prenatale fino al termine delle cure presso un unico Centro di riferimento e da un team di specialisti - dal chirurgo plastico allo psicologo - che si occupi di ogni aspetto della patologia.

«Grazie ai progressi della medicina oggi un bambino che nasce con labiopalatoschisi raggiunge quasi sempre una ottima qualità di vita – spiega il dottor Mario Zama, responsabile dell’unità operativa complessa di chirurgia plastica e maxillofacciale del Bambino Gesù – Per alcuni di loro però anche la piccola cicatrice che resta tra il labbro e il naso rappresenta un ricordo costante della malattia e di quello che ha comportato. Come se non fossero mai guariti del tutto. Per questo motivo è fondamentale il rapporto con le famiglie e il lavoro svolto dalle associazioni genitoriali. È il modo più efficace per non farli sentire soli, per testimoniare che si è parte di una più ampia famiglia acquisita in cui tutti condividono la stessa esperienza di vita».

Sabato 24 giugno si è tenuta la quarta edizione dell'Open Day promosso dall'associazione BA.BI.S. insieme al Centro per le Malformazioni Craniofacciali del Bambino Gesù. L'appuntamento ritorna finalmente dal vivo dopo la pausa forzata dovuta alla pandemia di Covid-19. BA.BI.S. La Banda dei Bimbi Speciali è un'associazione di genitori accreditata presso il Bambino Gesù che accoglie famiglie e pazienti adulti ed è un importante punto di riferimento per i pazienti più piccoli.

Grande è stata la partecipazione delle famiglie all’appuntamento di sabato scorso presso la sede di San Paolo, in cui si sono alternate consulenze mediche gratuite presso i mini-box allestiti per l'occasione, approfondimenti scientifici, confronto tra famiglie, associazioni, medici, infermieri, racconto delle esperienze di genitori, fratelli ed ex pazienti.

"È stato importante ritrovarsi insieme in un'occasione come questa, dopo la lunga parentesi del Covid, per continuare ad accompagnare 'sottobraccio' le famiglie, i
pazienti, gli stessi operatori sanitari, con l'aiuto di tanti volontari"
, spiega Antonietta Giorgia Commare, presidente dell'associazione Ba.bi.s (la Banda dei bimbi speciali), che dal 2016 è presente all'ospedale pediatrico Bambino Gesù e che ha organizzato sabato scorso l'Open Day all'ospedale capitolino in collaborazione con
l'Unità operativa di chirurgia plastica e maxillo-facciale. "Malgrado il Covid, che ha interrotto buona parte dell'attività in reparto - ha aggiunto - non abbiamo mai smesso di dare aiuto e supporto a 360 gradi a genitori che con la diagnosi dei propri figli iniziano percorsi a volte molto lunghi e molto difficili. La presenza di un'associazione di genitori, in questi contesti difficili, è fondamentale non solo per contribuire a migliorare l'assistenza delle famiglie, ma anche per migliorare il dialogo tra le famiglie e il personale sanitario"




 
 

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