Immunoglobuline

Cosa sono le immunoglobuline e come si usano per la prevenzione delle infezioni? 

Il termine immunoglobuline è un sinonimo della parola anticorpi. Gli anticorpi sono delle proteine coinvolte nella nostra risposta immunitaria, cioè sono quelle sostanze che il nostro organismo produce per proteggerci dai batteri e dai virus.

Per farlo, gli anticorpi legano piccolissime parti (molecole) del batterio o del virus che vengono denominate antigeni.

Il legame tra anticorpo e antigene è del tipo "chiave/serratura", quindi ogni anticorpo –la chiave– apre una e una sola serratura -l'antigene-. Proprio per questo, in gergo immunologico si dice che gli anticorpi sono molto specifici.

Il primo impiego delle immunoglobuline risale al 1952, come terapia sostitutiva nei bambini con un’immunodeficienza primitiva rara, geneticamente determinata (l’agammaglobulinemia X-linked), caratterizzata da severo deficit anticorpale e maggiore suscettibilità alle infezioni.

Le immunoglobuline endogene vengono classificate in:

  • IgA, presenti sulle mucose e nelle secrezioni (ad esempio saliva, lacrime, secrezioni genitourinarie, muco intestinale e bronchiale, colostro e latte materno), sono la prima barriera che ci protegge contro le infezioni, impedendo a virus e batteri di entrare nel nostro organismo;
  • IgD, con un ruolo molto importante nei meccanismi della risposta immunitaria;
  • IgE, prodotte dall'organismo per proteggerci dai parassiti (ad esempio dai vermi intestinali), giocano un ruolo di primo piano nelle reazioni allergiche;
  • IgG, le più presenti nel sangue. Gli anticorpi IgG vengono cercati in laboratorio per capire se il paziente è stato precedentemente infettato con un determinato virus o batterio. La presenza di IgG specifiche per un determinato microrganismo indica che l’individuo ha contratto l’infezione e sviluppato una risposta immunitaria a quell’agente infettivo (immunità naturale), oppure che il soggetto ha risposto alla somministrazione di un vaccino specifico (immunità artificiale attiva o vaccinale);
  • IgM, le prime a comparire nel sangue in risposta a un'infezione da virus o da batteri. Hanno un ruolo molto importante nelle difese immunitarie. Proprio perché compaiono precocemente, gli anticorpi IgM vengono usati in laboratorio per stabilire se il paziente abbia o meno un’infezione in corso e quindi si trovi in fase acuta di malattia.

Le immunoglobuline umane possono essere estratte dal sangue di migliaia di donatori sani, in modo da contenere anticorpi diretti contro il maggior numero possibile di microrganismi.

Queste immunoglobuline, denominate immunoglobuline umane normali, hanno svariati impieghi terapeutici, tra cui:

  • La terapia sostitutiva di soggetti che mancano di anticorpi:
    • Perché non sono in grado di produrli a causa di malattie genetiche rare come l'agammaglobulinemia congenita o morbo di Bruton;
    • Perché affetti da malattie del sangue come il mieloma o alcune leucemie che rendono difficoltosa la produzione di anticorpi;
    • Perché sottoposti recentemente a trapianto di cellule staminali ematopoietiche, quindi incapaci di produrre anticorpi fino all'attecchimento completo del trapianto;
  • La cura di disordini autoimmuni o comunque mediati da un'iperattività del sistema immunitario come la piastrinopenia immune o la malattia di Kawasaki, sfruttando le proprietà antinfiammatorie e immunomodulatorie delle immunoglobuline ad alta concentrazione.

Le immunoglobuline possono anche essere estratte dal sangue di un gruppo selezionato di dona­tori che hanno una gran quantità di anticorpi diretti contro gli antigeni di un determinato virus, di un batterio o di una tossina prodotta da un batterio.

Si tratta di pazienti convalescenti da infezioni naturali o di donatori vaccinati. Queste immunoglobuline, denominate immunoglobuline iperimmuni, possono essere utilizzate per prevenire l'infezione in seguito ad una nota esposizione o, in alcuni casi, per curarla.

Le immunoglobuline iperimmuni di impiego più comune sono:

  • Le immunoglobuline iperimmuni dirette contro il virus dell'epatite B, iniettate subito dopo il parto ai neonati di madri portatrici del virus per impedire l'infezione del neonato;
  • Le immunoglobuline iperimmuni dirette contro la tossina del botulino, iniettate ai neonati e ai lattanti non appena si sospetti un'intossicazione da tossina del botulino;
  • Le immunoglobuline iperimmuni dirette contro il virus della rabbia;
  • Le immunoglobuline iperimmuni dirette contro la tossina del tetano;
  • Le immunoglobuline iperimmuni anti-Rh somministrate alla madre Rh-negativa di feto/neonato Rh-positivo, allo scopo di prevenire la malattia emolitica del neonato in gravidanze successive.

Altre immunoglobuline iperimmuni, come quelle contro il Cytomegalovirus e il virus della Varicella Zoster, trovano oggi un impiego più limitato.

Le immunoglobuline si somministrano abitualmente per via endovenosa o per via sottocutanea, modalità preferita dai pazienti in terapia sostitutiva cronica, in quanto facilmente praticabile a domicilio. Una singola somministrazione conferisce una protezione che dura da un minimo di 4 settimane a un massimo di 8 settimane, a seconda della quantità di IgG somministrate.

Le immunoglobuline iperimmuni dissolte nel plasma del donatore prendono il nome di plasma iperimmune (o plasma convalescente). Durante la pandemia di COVID-19, il plasma convalescente ad alto contenuto di anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2 è stato impiegato con l’obiettivo di trasferire anticorpi specifici ai soggetti riceventi per conferire una protezione contro il virus (immunità passiva), con evidenze iniziali che suggerivano una possibile riduzione del rischio di ospedalizzazione, se somministrato nelle fasi precoci della malattia lieve-moderata.

Tuttavia, studi successivi hanno mostrato risultati discordanti; pertanto, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno sconsigliato l’uso terapeutico del plasma iperimmune, ritenendo necessarie ulteriori ricerche per definirne il reale impatto clinico.

Gli anticorpi monoclonali rappresentano un’opzione terapeutica per conferire immunità passiva ai pazienti, in particolare quelli ad alto rischio di progressione della malattia.

Durante la pandemia, diversi anticorpi monoclonali diretti contro SARS-CoV-2 sono stati autorizzati per il trattamento di COVID-19, sulla base della loro capacità di neutralizzare il virus. La scelta dell’anticorpo da utilizzare è stata condizionata dalla variante virale prevalente, oltre che da criteri clinici specifici paziente e malattia-correlati.

Tuttavia, con la continua evoluzione del virus e la diffusione di nuove varianti, l’efficacia di tali farmaci è risultata variabile e ad oggi l’impiego degli anticorpi monoclonali per il trattamento di COVID-19 appare molto limitato.

Le immunoglobuline umane normali, per il loro ruolo immuno-modulatore e anti-infiammatorio sono state impiegate nella MIS-C (Multisystem Inflammatory Syndrome in Children), una rara complicanza infiammatoria dell’infezione da SARS-CoV-2, che poteva colpire bambini e giovani adulti. Tale sindrome si presentava con febbre persistente e segni/sintomi di infiammazione d’organo variabilmente associati, tra cui: manifestazioni gastrointestinali, cardiovascolari, polmonari, epato-renali e muco-cutanee.

In seguito alla diagnosi di MIS-C, le immunoglobuline venivano somministrate per via endovenosa come trattamento primario, spesso insieme ai corticosteroidi e seguite da specifici farmaci immunosoppressori (antagonista umano del recettore dell’IL-1, interleuchina 1, Anakinra).

La MIS-C è stata osservata principalmente come complicanza tardiva dell’infezione da SARS-CoV-2, soprattutto durante la circolazione delle prime varianti, in particolare la variante Delta. Con l’evoluzione del virus e l’introduzione della vaccinazione pediatrica, i casi sono progressivamente diminuiti fino a diventare estremamente rari.

 

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  • A cura di: Nicole Olivini
    Unità Operativa di Pediatria Multispecialistica
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 10  Novembre 2025 


 
 

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