La tachicardia da rientro nodale è una delle più comuni tachicardie sopraventricolari (cioè le tachicardie che si originano negli atri o nel punto di collegamento elettrico tra atri e ventricoli, cioè la giunzione atrio-ventricolare). Appartiene alle famiglie delle tachiaritmie (alterazione del ritmo cardiaco caratterizzata da improvvise accelerazioni delle contrazioni del cuore). Dei sintomi, dei rischi, e dei trattamenti a disposizione per questa patologia abbiamo parlato con il dottor Fabrizio Drago, responsabile dell'Unità di Cardiologia e Aritmologia del Bambino Gesù.
Dottor Drago, come si manifesta questa patologia?
All'origine di questa patologia, che è congenita, c'è una sorta di "sdoppiamento" del tessuto di conduzione cardiaco. Questo sdoppiamento crea un cortocircuito che genera continue tachicardie. In condizioni normali, infatti il battito cardiaco si origina nel nodo seno atriale (situato nell'atrio destro), si propaga negli atrii e raggiunge il nodo atrio-ventricolare, che è la sola via di comunicazione elettrica tra atri e ventricoli. Il nodo di chi soffre di questa malattia si comporta come se fosse costituito da due vie di conduzione distinte.
Quali sono i sintomi di questa patologia e i rischi per chi ne soffre?
Le tachicardie sono percepite come accessi di batticuore molto rapido e regolare ad insorgenza e interruzione improvvisa. Gli episodi hanno una durata variabile da pochi secondi ad alcune ore I sintomi più comuni includono palpitazioni, , ansia, dolore toracico e dispnea. La sincope (svenimento comune) può verificarsi nei casi in cui l'aritmia si presenti con una frequenza ventricolare molto elevata. Non si tratta di una patologia che porta alla morte ma ovviamente inficia in maniera importante la qualità della vita di chi ne soffre, perché gli episodi di tachicardia sono in genere molto frequenti.
Quali sono i trattamenti a disposizione?
La tachicardia nodale può essere trattata con i farmaci o con l'ablazione transcatere. Dal 2002 Bambino Gesù le trattiamo con la criobalazione, che riduce il rischio di complicanze che ci possono essere con altre tecniche di ablazione e anche il rischio di recidiva è molto basso, sotto il 2%. A meno che non ci siano situazioni di tachicardia molto gravi, che richiedono un intervento precoce, non si ricorre alla crioterapia in bambini con un peso inferiore ai 20 chili, quindi in media con un'età di almeno 5 o 6 anni.
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