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Osteonecrosi o necrosi asettica

È la morte di una porzione di tessuto osseo dovuta ad un'insufficiente irrorazione sanguigna. Colpisce principalmente le ossa lunghe e può manifestarsi dopo un trauma 

L’osteonecrosi, detta anche necrosi avascolare o necrosi asettica o infarto osseo, è la morte di una porzione del tessuto osseo dovuta a mancato o insufficiente afflusso di sangue. Poiché il tessuto osseo è un tessuto vivo, il mancato apporto di sangue ne causa la morte. Nei casi più gravi l’osteonecrosi può portare al collasso osseo, cioè al crollo della parte di osso colpita. 
È più frequente nei maschi in età giovane-adulta anche se può colpire entrambi i sessi a tutte le età.

Per i pazienti sani il rischio di osteonecrosi è basso: la maggior parte dei casi è dovuta a malattie già presenti oppure a traumi.
L’origine dell’osteonecrosi è sempre un’interruzione del flusso di sangue all’osso che può dipendere a sua volta da varie cause:

  • Post-traumatica: una frattura, generalmente scomposta, o una lussazione causano un’interruzione meccanica dei vasi. Le articolazioni più coinvolte sono anca, spalla e ginocchio. Circa il 20% dei pazienti affetti da lussazione d’anca sviluppa una osteonecrosi;
  • Uso prolungato di corticosteroidi: una terapia prolungata con cortisonici, sia per via orale sia endovenosa, è associata nel 35% dei casi all’insorgenza di osteonecrosi. Il meccanismo non è ancora chiaro ma si pensa che il mancato afflusso di sangue all’osso dipenda da un accumulo di grassi nei vasi sanguigni. In età pediatrica l’osteonecrosi è frequente nei bambini affetti da leucemia linfatica acuta che sono sottoposti a una terapia prolungata con corticosteroidi;
  • Trombosi, embolia e vasculiti: l’occlusione dei vasi sanguigni può essere causata da un trombo (un ammasso di piastrine), un coagulo (un ammasso di materiale coagulato), un embolo (che può essere un coagulo di sangue, una bolla d’aria o di altri gas) o da un danno delle pareti dei vasi sanguigni dovuto a malattie autoimmuni come le vasculiti;
  • Anemia falciforme: i globuli rossi hanno una forma alterata che rende difficoltoso il passaggio del sangue all’interno dei vasi più piccoli come quelli che nutrono il tessuto osseo;
  • Abuso di alcolici: come per l’uso prolungato di corticosteroidi, l’abuso di alcolico altera il metabolismo dei grassi e causa un accumulo di grassi all’interno dei vasi alterando il flusso sanguigno.

Altre condizioni associate con l’osteonecrosi sono:

In circa il 20% dei casi l’osteonecrosi si manifesta senza che si riesca a individuare una causa precisa.

Molto spesso, le fasi iniziali trascorrono senza che il bambino presenti nessun sintomo. Il paziente non prova dolore, e solo con il passare del tempo l’osteonecrosi provoca dolore e gonfiore alle articolazioni e riduzione del movimento articolare.
Il dolore aumenta col movimento dell’articolazione colpita e diminuisce con il riposo.

Se l’osso malato si trova nella gamba, stare in piedi e camminare diventa doloroso e si inizia a zoppicare.
Negli stadi più avanzati, l’osso necrotico collassa provocando dolore intenso. Se la morte del tessuto osseo coinvolge anche un’articolazione, il movimento articolare sarà molto compromesso.
L’arco di tempo tra l’inizio dei primi sintomi e il cedimento dell’osso ha una durata variabile da alcuni mesi a più di un anno.

L’osteonecrosi può colpire tutte le ossa del corpo umano, anche se le ossa più colpite sono le ossa lunghe come il femore (l’osso della coscia) e l’omero (l’osso del braccio).

Questo vale sia in seguito a un trauma sia per le altre possibili cause.
Il cedimento avviene nella porzione terminale delle ossa lunghe (braccia e gambe), proprio la porzione di osso in cui si inseriscono le articolazioni.

Le articolazioni più colpite negli adulti e nei bambini sono le anche (si veda il Morbo di Perthes). Seguono le ginocchia, le spalle, le caviglie e i polsi (Malattia di Kienbock).

Dal momento che nelle fasi iniziali non è dolorosa, molto spesso l’osteonecrosi non viene diagnosticata rapidamente. Bisogna sospettare l’osteonecrosi nelle persone che continuano ad avere dolori dopo una frattura o una lussazione e nelle persone che riferiscono la comparsa improvvisa di dolori articolari, specialmente se si tratta di persone che hanno fattori di rischio per l’osteonecrosi.
La visita da sola non basta per arrivare alla diagnosi, bisogna ricorrere ad esami strumentali come:

  • Radiografia: l’osteonecrosi è visibile alla radiografia solo negli stadi più avanzati;
  • Risonanza magnetica (RM): qualora la radiografia risultasse negativa ma i sintomi suggeriscano la presenza di una osteonecrosi, si esegue una RM. Questo accertamento non espone a radiazioni ionizzanti e permette di individuare l’osteonecrosi già in uno stadio precoce e di seguirne l’evoluzione nel tempo. 

Osteonecrosi o necrosi asettica

Figura 1. Risonanza magnetica di osteonecrosi  del condilo femorale

L'obiettivo del trattamento è quello di bloccare la progressione della malattia, ridurre il dolore e ripristinare il movimento articolare.
Il trattamento può essere farmacologico, fisioterapico o chirurgico. La scelta del trattamento dipende da diversi fattori:

  • Età del paziente;
  • Stadio della malattia;
  • Localizzazione ed estensione del danno osseo;
  • Cause della malattia.

Nel caso in cui la causa dell'osteonecrosi venga riconosciuta, il trattamento sarà mirato a curare la causa scatenante. Ad esempio, se la necrosi è causata da un coagulo la terapia sarà a base di farmaci anticoagulanti o antiaggreganti.
Se la diagnosi avviene a uno stadio iniziale, quando la quantità di osso compromesso è minima, la terapia consiste in:

  • FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei), come ad esempio l'ibuprofene, che servono a ridurre l'infiammazione e alleviare il dolore;
  • Riposo e scarico dell'articolazione. Se ad essere colpite sono anca, ginocchio o caviglia è raccomandato l'uso di stampelle;
  • Fisioterapia. Necessaria per mantenere la mobilità dell'articolazione colpita.

Negli stadi più avanzati, con una maggiore quantità di osso coinvolto, potrebbe essere necessario un intervento chirurgico. Le opzioni chirurgiche comprendono:

  • Decompressione ossea: che consiste nel rimuovere la parte di osso necrotica per ridurre la pressione e facilitare la formazione di nuovi vasi sanguigni e di nuovo tessuto osseo;
  •  Trapianto osseo: consiste nel sostituire l'osso malato con osso sano prelevato da un'altra parte del corpo oppure da un donatore;
  • Osteotomia: procedura con la quale si taglia l'osso e si cambia il suo asse per ridistribuire il carico su una porzione di osso ancora sana;
  • Protesi articolare: questo trattamento è riservato ai casi più gravi e consiste nel rimuovere l'osso malato e nel sostituirlo con un'articolazione sintetica.

 

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  • A cura di: Fabio Pascarella
    Unità Operativa di Ortopedia
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 15 settembre 2021


 
 

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